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Enzo Avitabile

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Non è Natale, senza la proverbiale domanda “Te piace o Presepio?”. E, in un Natale così insolito e particolare, come quello che ci apprestiamo a trascorrere, la presenza di Lucariello, quasi un po’ uno di famiglia, nelle nostre case, ci appare come rassicurante. Ecco che il regista Edoardo De Angelis, proprio quest’anno, ci dona una trasposizione cinematografica, la prima in assoluto, di uno dei più grandi classici della storia del teatro.

E se è vero quel mantra dal sapore bertoliano, quello per cui Pierangelo ci invitava a vivere “con un piede nel passato e uno sguardo dritto e aperto nel futuro”, ecco che De Angelis sembra accoglierlo in pieno riunendo, proprio nei momenti di maggior distanza, generazioni di famiglie, generazioni abituate al teatro e al suo linguaggio e generazioni vicine al cinema, ai suoi ingranaggi e alla televisione. È appunto, proprio con questa visione dell’arte che il regista ci fa entrare nella sua opera.

Ed è “con un piede nel passato e uno sguardo dritto e aperto nel futuro” che anche la Rai si prepara ad ospitare questo grande evento che vedrà Sergio Castellitto nei panni di Luca Cupiello accompagnarsi ad un cast quasi interamente napoletano. Ma, a reggere un capolavoro d’eccezione come questo, c’è bisogno di una musica che sia anch’essa d’eccezione. E chi può raccontare Napoli “con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”, se non colui che di questa massima ne ha fatto un mantra per la sua arte e di tradizione ed innovazione, di incontri ai confini, il perno della sua musica? È così che Enzo Avitabile, oggi, ci racconta, come nasce la musica di Natale in casa Cupiello che vedremo martedì 22 dicembre in onda su Rai Uno.

Enzo, il primo riferimento, quasi d’obbligo, è, ovviamente, alla collaborazione sempre rinnovata con De Angelis. Non è così scontata una forte simbiosi tra regista e compositore. È anche Napoli uno degli elementi portanti del vostro sodalizio?

Ma certo, Napoli è comunque sempre presente nella nostra arte, essendo napoletani, campani, sono tutti riferimenti della nostra storia. C’è, però, tra noi, anche un’affinità a livello spirituale e di percorsi in quella che è la ricerca del linguaggio, il cercare di muoversi in una parola e in un suono che siano contemporanei ma avendo come riferimento sempre il passato. Ecco: il passato con gli occhi del futuro. La musica, alla fine è questo.

Dopo aver musicato ‘A livella di Totò, nel disco Easy, ecco che ti avvicini ad un altro grande classico. Come funziona, come cambia, l’atto creativo nel momento in cui si dà voce musicale a grandi come, appunto, Totò ed Eduardo?

Che sia musicato integralmente il testo, o che si tratti di una trasposizione cinematografica, l’atto creativo è comunque “influenzato” dalla vicinanza all’artista.
Con ‘A livella di Totò diedi vita ad una ri-stilizzazione mentre, ora, l’opera di Edoardo De Angelis su Eduardo è stata una trasposizione cinematografica, un omaggio del cinema alla grande opera di De Filippo. Ho lavorato sul testo, partendo, ovviamente, dal viaggio di Eduardo, ma poi, giorno per giorno, abbiamo lavorato su ogni singolo suono. Dovevamo avere una musica non didascalica ma che si muovesse rispettando la tradizione con un linguaggio, però, innovativo. Partendo, quindi, da un arpeggio, in modo minimale, con una pentarpa, che è uno strumento che ho fatto costruire io, a poco a poco si va sviluppandosi il tutto e questo arpeggio diventa tema portante. E, allo stesso modo ci sono più temi. C’è quello, ad esempio, importante, del pianino, Napule, che riprendo, con il saxello, uno strumento particolare che ho fatto costruire; c’è quello della Vigilia con strumenti come il clarello e l’ocarina bassa. Sono suoni particolari, ti accorgi che ci sono varie combinazioni sonore. Chiaramente, hai una sorta di rivisitazione della parola di Eduardo, è il suono che racconta la parola e la parola che si fa musica.

Ecco, appunto, questa “tradizione innovativa” sempre a te molto cara. All’interno di queste musiche hai portato quelli che sono i fili conduttori della tua arte, ovvero la devozione del sacro popolare e la contaminazione. Suoni tipici delle atmosfere anni ’50 che si fondono a quelli etnici, al Mediterraneo e all’Africa del Nord.

Quel sacro che non è liturgico, quella fede che nasce “a sud delle stelle”. Il tutto reso in diversi momenti. Abbiamo l’introduzione degli zampognari con la novena di Tu scendi dalle stelle e poi c’è la canzone originale finale “E duorme stella”, che dice proprio “Noi non siamo scesi da te. Noi siamo nati nel grano”. Noi siamo la terra, aspiriamo al cielo, allo stato di coscienza più alto ma siamo nati qui. Il brano è cantato con dei bambini non vedenti straordinari, a cui tengo tanto, due miei fan, Francesco e Sofia. Uscirà un video del pezzo che pubblicheremo su YouTube, in dono.

Un dono particolarmente prezioso soprattutto per un Natale come questo.

Esatto, è una cosa bella. Il brano, poi, sarà contenuto in un disco che uscirà il prossimo anno, un album particolare che sto terminando e a cui sto lavorando in concomitanza ad un altro lavoro con Joseph Capriati, col maestro della tecno.

Contaminazione anche in questo caso.

Sempre, gli incontri, perché la musica è un incontro continuo.

Da noi “nati nel grano” a Sant’Alfonso Maria de’ Liguori che, invece, parla del bambino e della luce che nascono dalle stelle. Ecco che assistiamo a Quanno nascette Ninno, voce e tamburo. Un canto umanizzato proprio da questo tamburo che diventa il simbolo di una sorta di intima confidenza col Signore. L’arrangiamento di un brano in un modo, piuttosto che in un altro, dove lo strumento assume una sorta di “simbologia”, può legarsi, oltre che ad una scelta musicale ben precisa, anche ad un momento storico particolare in cui c’è maggior bisogno di un ritorno alla semplicità e agli elementi basilari della vita stessa?

La luce del cielo che si unisce ad una possibilità di luce della terra. Ho riportato il canto nelle strade del mondo. Ti dico una cosa, il tamburo che uso è un tamburo a telaio cioè quello che si usava per le declamazioni. Non è la tammorra. Hai presente i tamburi dei banditori? È un tamburo che accompagna la parola. È un centro tonale in cui tu ti muovi sopra. È una cosa che mi piace perché restituisce al sacro questa credenza antica. I greci lavoravano sui piedi del ritmo. Noi nel tempo ci siamo perfezionati, attraverso una struttura del ritmo più complessa, con la poliritmia. I greci ci hanno insegnato i piedi del ritmo. Tieni presente che noi nella musica abbiamo due elementi importanti: il ritmo, figlio della Grecia e la scala napoletana che comunque nasce dal tetracordo greco. Quindi noi siamo molto greci. Poi che i greci l’abbiano preso dalla Mesopotamia e che ci sia un’influenza araba, certo. Questo è un canto su un piede di un ritmo ternario. Ecco, un ritorno alle influenze greche.

De Angelis ha rilasciato una bella dichiarazione sul Presepe, “il luogo del sogno dove ogni cosa è al suo posto”, che forse è il motivo per cui era particolarmente caro a Lucariello. Per Enzo, invece, cos’è il Presepe?

Per me il Presepe è un mondo ideale personale che ognuno si costruisce, senza spazio né tempo. Come forse sarà l’eternità. È una sorta di trasposizione dell’eternità nel finito. Il Presepe ha l’aspirazione dell’infinito nel finito, ognuno mette i personaggi che vuole, comunque e ovunque. E il Presepe è questo. In sintonia con il messaggio del grande poeta curdo Rafiq Sabir, potrei dire che “è la vita che nasce comunque e ovunque”.

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