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NAPOLI – Pagavano il «pizzo» alla camorra e negavano di averlo fatto i negozianti di uno dei tre decumani di Napoli, quello più famoso, nel 1995 dichiarato patrimonio dell’umanità, che oggi coincide con via dei Tribunali. Lì, nella Napoli greca, il clan Sibillo, o almeno quello che ne restava, incuteva ancora timore e rimpinguava le sue casse con lo spaccio della droga ma soprattutto taglieggiando il commercio alimentato da un fiorente turismo. Tra i negozi finiti sotto il giogo della camorra anche storiche pizzerie come «Di Matteo», «Il Presidente» e «Sofia», il noto «Bar Max» e la salumeria e macelleria «Sole». Tutti costretti a pagare per timore di ritorsioni, come accaduto a Di Matteo che lo scorso febbraio si è vista sparare colpi di pistola contro le saracinesche per un disguido sulle somme da versare. Ieri, con un blitz, i carabinieri hanno notificato 22 misure cautelari emesse dal gip di Napoli Tommaso Perrella su richiesta della DDA partenopea. Tra i destinatari dei provvedimenti (16 arresti in carcere, 3 ai domiciliari e 3 divieti di dimora nella provincia di Napoli) i due reggenti Giovanni Ingenito e Giovanni Matteo, cugini del baby boss della “paranza dei bambini» Pasquale Sibillo (tutti già in carcere) e anche la moglie di quest’ultimo, Vincenza Carrese, 26 anni, alias «Nancy», che occupava una posizione apicale e per la quale le porte del carcere si sono aperte oggi. Era lei a portare le cosiddette «imbasciate» (messaggi, ndr) del marito ed era lei a tenere sotto controllo la cassa, conteggiando le «entrate» e le «uscite». Ma Nancy riscuoteva anche il «pizzo», come quando ha convocato a casa della famiglia Napolitano (tenuta sotto controllo dai carabinieri) i titolari della pizzeria «Il Presidente» per intascare il denaro settimanalmente.

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