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NAPOLI. Le vittorie aiutano a vincere, il primato ed il distacco inflitto, al momento, alla tradizionale avversaria rivitalizzano il tifo, l’ambiente è galvanizzato al punto giusto, i calciatori mostrano sorrisi a trentadue denti, anche coloro che stazionano più in panchina che sul manto erboso, ed inevitabili e sconcertanti si profilano su quotidiani sportivi e non, e sugli altri media, i paragoni con il recente e meno recente passato.

Chi lancia strali di fuoco contro il Gennaro, mai santo, autore di un’indiscriminata tattica nella fatal gara contro il Verona (pari di cui non si è ancora intuita la responsabilità…), chi riporta alla memoria l’ammutinamento dello spogliatoio a valle del match di Champion’s, avversario il Salisburgo, all’allora S. Paolo, chi mette alla gogna l’atteggiamento diametralmente opposto di Ancelotti e Gattuso, lanciando nella polvere i due ex giocatori del Milan e, giustamente ed ovviamente, ponendo sull’altare il tecnico di Certaldo.

Le considerazioni da mettere sul tavolo sono diverse e dalle sfaccettature fortemente soggettive, innanzi tutto l’aspetto dei tre allenatori: un’indifferenza che indispettisce, quella del re Carlo, quasi insensibile alle vicende del campo (esempio l’esultanza, contenuta, dell’attuale tecnico del Real Madrid al gol realizzato al Meazza contro l’Inter il 15 settembre ultimo scorso, che fa da contrasto alla baldanza del figlio Davide, sempre presente alle sue spalle, ed in rampa di lancio per seguire le orme del padre), e al passaggio, iniziato proprio in quel di Napoli, di consegne, che prima o poi verrà ufficializzato, lasciando che fosse il rampollo a gestire allenamenti e rapporti con i calciatori che non vedevano di buon occhio il ragazzino che impartisse comandi e rimproveri.

Gattuso, da par suo, ha sempre inteso allenare uguale giocare, non riuscendo a concepire la sostanziale differenza tra i due ruoli: grintoso, azzanna caviglie, mai domo, mai stanco di combattere, digrignava i denti alla stregua del rincorrere l’avversario di turno per tutto il campo, non lasciandolo respirare soffiandogli di continuo il respiro affannoso dietro il collo.

Dalla panca ( mai visto seduto, né nelle calde serate estive, né sotto la pioggia battente, proprio per uscire dal campo con la maglia intrisa di sudore, come viene richiesto ad ogni calciatore ndr) il suo incalzare, con la voce, ad ogni tocco di palla degli atleti, quasi per telecomandarli ( è rimasto nella storia il battibecco con Quagliarella, che era infastidito dalla “telecronaca” del barbuto trainer di origine calabrese ndr), e gli sguardi torvi che rivolgeva a chi sbagliava, in campo, e da parte dei calciatori un’occhiata alla panchina quasi per ottenere l’assoluzione, e, conseguentemente, un atteggiamento severo che impauriva soprattutto i più giovani, Ruiz in testa.

L’abbraccio, ipocrita, di fine partita, quando la squadra usciva sconfitta, non faceva preludere alle urla che bissavano quelle dell’intervallo, e il rapporto burrascoso con il presidente è stato un paravento che ha nascosto un rapporto non idilliaco con i calciatori, del quale il buon ADL aveva avuto sentore sin da gennaio di quest’anno, intessendo da quel momento una corte incisiva a Spalletti. E veniamo al “toscanaccio” che, sin dall’inizio, ha mixato le cose buone di chi lo ha preceduto, giungendo con un sorriso che sembrava accattivante per non risultare antipatico ad una piazza che veniva da delusioni profonde, dopo l’addio di Sarri, ma che si è manifestato sincero e ispiratore di fiducia.

Mai una parola fuori dalle righe, mai una battuta di cattivo gusto, risposte sempre coerenti, e mai passare per i ricordi dei successi ottenuti ( Gattuso si vantava delle semifinali di coppa Italia….): un unico inciampo, ma determinato da allusioni e cattiva educazione timbrate Allegri, che nel dopo partita vinta dagli azzurri contro i bianconeri, aveva risposto in malo modo al saluto di Spalletti, tra l’altro suo corregionale. Un’arrabbiatura condita da una parolaccia, ma giustificata dall’indisponenza del collega allenatore, provocatore, forse perché indispettito dalla sconfitta.

Non sono le vittorie che hanno resi sereni e felici i giocatori partenopei, ma l’atteggiamento paterno, consigliere, distributore di serenità e fiducia: come non evidenziare le inquadrature della tv dove lo si vede a braccia conserte, senza dover far ricorso alla voce grossa, convinto di aver svolto fino in fondo il doppio ruolo, di maestro di tattica e di catalizzatore dei movimenti di mercato, inducendo, forse con la preghiera del buon padre di famiglia, la dirigenza a non sottrargli elementi di valore, messi tranquillamente in naftalina e pronti a mutare casacca. Non è un peana di ringraziamento dopo appena sei gare di campionato, ma come si suole dire, “quanno ce vò, ce vò”!    

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