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NAPOLI- “La condotta ascritta ai due imputati è inserita nel contesto di criminalità organizzata proprio della cosca dei Casalesi di cui Bidognetti era capo. La minaccia e l’intimidazione rivolta platealmente contro i due giornalisti fu espressione di una precisa strategia ideata dallo stesso capomafia, il cui interesse era quello di agevolare ed alimentare il potere di controllo sul territorio esercitato dal clan e di rafforzarne il potere. Pertanto il tribunale ritiene provato il dolo specifico di agevolazione dell’attività dell’associazione mafiosa da parte dei due imputati”.

E’ quanto scrivono i giudici della Quarta sezione penale del Tribunale di Roma nelle motivazioni della sentenza dello scorso 24 maggio con cui, riconoscendo il reato di minacce aggravate dal metodo mafioso, hanno condannato il boss del clan dei Casalesi Francesco Bidognetti (1 anno e sei mesi) e l’avvocato Michele Santonastaso (1 anno e 2 mesi) a un anno e due mesi per le minacce rivolte in aula durante il processo di appello ‘Spartacus’ a Napoli, nel 2008, alla giornalista Rosaria Capacchione e allo scrittore Roberto Saviano. Assolto invece l’altro avvocato Carmine D’Aniello.

Tra le frasi incriminate pronunciate in aula da Santonastaso si cita quella in cui l’avvocato aveva detto: “E’ solo un invito rivolto al signor Saviano e ad altri come lui, a fare bene il proprio lavoro e a non essere con la penna di chi è mosso da fini ben diversi rispetto a quello di eliminare la criminalità organizzata”. Per il tribunale ”le frasi pronunciate e il contesto in cui furono pronunciate consente senz’altro di ritenere integrato il reato di minaccia avendo le stesse una chiara attitudine a intimorire”.

Nel processo si erano costituiti come parte civile la Federazione Nazionale della Stampa, rappresentata dall’avvocato Giulio Vasaturo, e l’Ordine dei giornalisti della Campania guidato da Ottavio Lucarelli. L’ostentata indicazione nominativa dei due giornalisti – scrivono i giudici della IV sezione penale -, non funzionale al fine processuale, non può che essere interpretato come un attacco diretto alle due parti civili con una forte valenza di minaccia amplificata dalla lettura in aula che fu del tutto irrituale».

Rosaria Capacchione finì immediatamente sotto scorta, quella di Saviano venne rafforzata. Impensabile, scrivono ancora i giudici, che Santonastaso abbia preso questa iniziativa da solo, così come è da escludere che Bidognetti non ne fosse a conoscenza, tanto da aver firmato a documento già letto e clamore già esploso, la procura speciale al suo legale.

E alle minacce pronunciate in aula. Ci sono voluti tredici anni per concludere questo processo molto delicato, che ha raccontato come un clan ha cercato di intimidire, isolare e fermare il racconto del suo potere», aveva dichiarato Saviano dopo la sentenza. «Sono contento anche per Rosaria Capacchione, sono stati anni feroci sotto attacco da tanti. È la dimostrazione che i clan non sono invincibili».

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