X
<
>

Condividi:
2 minuti per la lettura

La gestione del welfare degli affiliati al crimine organizzato fa registrare un cambio di passo e dalle estorsioni il clan dei Casalesi è passato a un sofisticato sistema di frode fiscale per sostenere i suoi carcerati. Non rappresenta una novità ma una conferma investigativa la maxi operazione anti riciclaggio dei finanzieri del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria e dei Comandi Provinciali di Napoli, Caserta e Salerno, che oggi, coordinati dalla DDA partenopea, hanno notificato 63 misure cautelari per il reato di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio a vantaggio del clan dei Casalesi in tre province della Campania: Napoli, Caserta e Salerno.

Tutto nasce da un accertamento tecnico, una consulenza, affidata dagli investigatori a un funzionario della Banca d’Italia che ha fatto emergere flussi finanziari anomali. A gestire il sofisticato meccanismo, basato sull’emissione di fatture per operazioni inesistenti da parte di una fitta rete di società fittizie, erano persone legate alla fazione «Zagaria” del clan, in particolare Giuseppe Guarino, cognato di Giacomo Capoluongo, fratello di Maurizio, che è stato scarcerato di recente dopo avere scontato una pena al 41bis. Ma, ai vertici c’erano anche Luigi Esposito, Salvatore Prato e Armando della Corte, tutti finiti in carcere. Il sistema, complesso e stratificato – sono tre i livelli individuati: società «a monte », società «a valle», e “spicciatori» – ha consentito di ricavare denaro contante da destinare al welfare sfruttando un sistema appositamente studiato da «colletti bianchi ».

I settori «merceologici” individuati per le truffe sono quello dei carburanti e del legname: il primo è stato scelto – ritengono i pm – in virtù dell’entità dei guadagni che è in grado di generare (milioni e milioni di euro non pagando accise e Iva). Ma un peso nella scelta l’hanno avuto anche le difficoltà insite nell’accertamento delle frodi, che emergono solo dopo diversi mesi, in sede di dichiarazione.

Enel frattempo, il clan accumulava ingenti somme. Fondamentale, è emerso dall’attività investigativa, è risultato il ruolo ricoperto dalla fitta rete di «spicciatori” (una trentina quelli finora individuati) incaricati di eseguire i prelievi di denaro contante in banca o alle Poste, per cifre contenute in maniera tale da non innescare gli «allert” dell’antiriciclaggio.

Le somme prelevate, comunque, ammontano complessivamente, a 80-100 milioni di euro, nel periodo che va tra il 2016 e il 2020. Mediamente sono stati prelevati circa 55mila euro al giorno. Il denaro poi veniva ceduto a esponenti del «clan dei Casalesi» che lo utilizzavano per provvedere al sostentamento delle famiglie di detenuti del clan.

Tra gli «spicciatori», una figura assimilabile ai pusher che nelle piazze di spaccio vendono lo stupefacente «al dettaglio», spicca una donna che tra il 20 ottobre 2019 e l’8 gennaio 2020 ha movimentato sui suoi rapporti finanziari fittizi oltre 6 milioni di euro.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE