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Persi 10 miliardi al mese nel Sud con il covid. Il Pil del Mezzogiorno, in termini reali, risulterebbe a fine 2020 al di sotto del suo picco minimo del 2014 e inferiore di 18 punti percentuali rispetto al 2007 (il Centro-Nord di circa 11). È il dato contenuto nel Rapporto Svimez 2020, presentato ieri, che evidenzia i pesanti effetti sull’economia del Meridione della pandemia di Coronavirus.

Ogni mese di lockdown è «costato» quasi 48 miliardi di euro, il 3,1% del Pil italiano, oltre 37 dei quali «persi» al Centro-Nord (3,2% del Pil) e quasi 10 nel Mezzogiorno (2,8% del Pil). Ma la crisi economica, avverte la Svimez, si è però presto estesa al Sud, traducendosi in emergenza sociale, incrociando un tessuto produttivo più debole, un mondo del lavoro più frammentario e una società più fragile.

Le previsioni Svimez del Pil per il 2020 segnano -9% per il Mezzogiorno, -9,8% per il Centro-Nord e -9,6% per il Paese. Tuttavia il Sud subisce un impatto più forte in termini di occupazione: nei primi tre trimestri 2020 la riduzione è pari al 4,5% (il triplo rispetto al CentroNord), con una perdita di circa 280mila posti di lavoro.

Quanto al futuro, per il 2021 la Svimez prevede che il Pil cresca al Sud dell’1,2% e nel 2022 dell’1,4%, mentre al Centro-Nord del 4,5% nel 2021 e del 5,3% l’anno successivo. La conseguenza è che la ripresa sarebbe segnata dal riaprirsi di un forte differenziale tra le due macro aree. Previsioni però più ottimistiche se si considerano gli effetti della Legge di Bilancio 2021, che si vedranno soprattutto nel 2022.

A trarne i maggiori benefici dovrebbe essere il Sud, in quanto il Pil aumenterebbe nel 2022 del +2,5%, circa un punto in più di quanto previsto senza tenere conto della finanziaria. Singoli dossier da risolvere in un quadro di emergenza sociale che vede giovani e donne pagare maggiormente il prezzo della crisi. L’occupazione femminile, già ai minimi europei, si è ridotta nei primi sei mesi del 2020 di quasi mezzo milione di unità, sottolinea la Svimez.

La precarietà del lavoro femminile resta decisamente più elevata, rispetto a quella del lavoro maschile, soprattutto nelle Regioni del Sud, con un quarto delle donne dipendenti a termine che ha quel lavoro da almeno cinque anni (a fronte del 13-14% delle dipendenti del Centro-Nord).

Male anche le retribuzioni: l’11,5% delle donne ha una retribuzione oraria inferiore ai due terzi di quella mediana, a fronte del 7,9% degli uomini (al Sud tale quota sale al 20%, a fronte del 14% degli uomini). Sul fronte giovanile l’occupazione si è ridotta, nei primi due trimestri del 2020, dell’8%, più del doppio del calo totale. A livello territoriale l’impatto sui giovani è stato ancora più pesante nelle Regioni meridionali, già caratterizzate da bassissimi livelli di partecipazione al mercato del lavoro: 12%. In Italia il conto più salato lo sta pagando il Mezzogiorno dove la crisi “si traduce in vera emergenza sociale”.

Sono parole del premier Giuseppe Conte intervenuto in occasione della presentazione del rapporto annuale dello Svimez. “Questa crisi ha colpito tutti ma non tutti nello stesso modo”, sottolinea mettendo in luce l’aumento del divario a causa di “diseguaglianze strutturali”.

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