X
<
>

Gino Sorbillo

Condividi:
2 minuti per la lettura

NAPOLI – «Le cose vanno male, io chiuderò quattro locali tra Napoli e Milano, ma la consegna delle pizze a casa si può fare in sicurezza e permetterebbe a tutto il settore di ricominciare a camminare, seppure come un’auto che va a fil di gas».

Gino Sorbillo è tra i pizzaioli più celebri di Napoli e lancia con forza la richiesta del settore di poter riprendere il lavoro, senza ovviamente aprire i tavoli dei ristoranti. Un appello lanciato da Massimo Di Porzio, titolare di “Umberto”, nel quartiere napoletano di Chiaia e presidente della Fipe Confcommercio per Napoli e provincia, e a cui hanno aderito oltre 400 ristoratori, da quelli storici ai giovani imprenditori che avevano rafforzato l’offerta di cibo in una città che era in pieno boom di turismo e di crescita economica. Ora la prospettiva, dice Porzio, è che «alla fine del lockdown un terzo dei ristoratori non sarà in grado di riaprire».

L’appello è rivolto al presidente della Regione Vincenzo De Luca che permette in Campania solo la consegna di cibo confezionato: “De Luca – dice Di Porzio – ci disse resistete per 15 giorni. Ma ora è passato un mese e mezzo e abbiamo chiesto due volte un appuntamento ma stiamo aspettando. Neanche per il 4 maggio ci sono arrivati segnali. Io mi rendo conto che è facile chiudere tutto ma le consegne garantirebbe a qualche piccola azienda di sopravvivere e darebbe un servizio ai consumatori. Ho amici a Milano che mi raccontano del pranzo di Pasqua che gli è stato consegnato a domicilio».

Un appello al dialogo lanciato anche da Confcommercio Campania con il direttore Pasquale Russo: «E’ necessario – spiega – avviare un confronto per individuare un percorso condiviso per riattivare in sicurezza l’attività di consegna a domicilio, che nelle altre Regioni è consentito. Possiamo dare respiro a un comparto il cui ritorno alla piena attività avrà tempi lunghissimi e stiamo parlando di circa 4000 imprese in Campania, oltre 1200 solo a Napoli». La crisi intanto già avanza, come spiega Sorbillo: «Fare 40 pizze da asporto al giorno – dice – e magari 100 nel week end non risolve i problemi ma è un inizio. Tutti siamo in crisi, io non riaprirò il ristorante sul lungomare e quello delle pizze fritte al Vomero, ma anche due locali a Milano. Ora l’unico in cui serviamo pizze a tavola è quello di Tokio. Qui possiamo consegnare sigillando il cartone della pizza con la pellicola, in tutta sicurezza». Ma in crisi non ci sono solo le pizzerie, come spiega Egidio Cerrone, creatore della catena di burgher “Puok” a Napoli: «Nel resto d’Italia – scrive sui social – il governo dà gli stessi aiuti ma è permesso il delivery. Se solo in Campania non è permesso, tutte le aziende di ristorazione napoletane sono estremamente svantaggiate e si ritroveranno alla fine della pandemia con le ossa ancora più rotte: fuori dalla Campania hanno gli stessi aiuti ma non stanno incassando zero come noi. Fateci fare un delivery supercontrollato o continuate sì con la disparità, ma anche negli aiuti».

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE