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NAPOLI – Vito Grassi, presidente dell’Unione industriali di Napoli e di Confindustria Campania, la situazione socioeconomica della Campania e del Mezzogiorno risulta chiara dall’ultimo rapporto della Svimez, meglio parlare di possibili soluzioni, ad esempio di come attirare maggiori investimenti.
Se si vuole dare davvero un forte impulso alla crescita economica del Sud e attrarre nuovi investimenti, bisogna iniziare con l’invertire la tendenza delle politiche economiche nazionali degli ultimi lustri. Occorre riattivare gli investimenti in infrastrutture nel Sud, come annunciato dall’attuale Esecutivo; promuovere una politica di sostegno e rilancio del manifatturiero in direzione 4.0; intervenire sulla formazione, nodo strategico se si pensa non solo alla crescente ricerca da parte delle imprese di nuovi profili professionali ma anche alla necessità di una riqualificazione della maggior parte degli attuali occupati. E, soprattutto, occorre tornare sull’eterna occasione mancata di questi anni: la riduzione del carico fiscale e contributivo sul lavoro. Se non bastano gli scenari prospettati da Svimez, che altro stimolo bisogna aspettare?
Da tempo si annuncia un Piano per il Sud, il Ministro Provenzano promette che sarà pronto entro fino anno: che cosa si aspetta?
Ci aspettiamo che il Piano annunciato dal Governo, oltre a prevedere il riequilibrio tanto invocato della spesa ordinaria degli investimenti, fornisca risposte concrete anche sugli snodi fondamentali per un’economia sempre più poggiata sulla conoscenza: incremento degli investimenti in formazione, università e ricerca. E’ la strada maestra per contrastare e isolare anche l’illegalità: più si eleva il tiro, più si toglie spazio a possibilità di condizionamenti impropri dell’attività economica.
Alle imprese della Campania e del Sud serve anche un’iniezione di liquidità, magari agevolando l’accesso al credito, le banche potrebbero avere un ruolo determinate e come?
Bisogna innovare non soltanto nelle tecnologie, nella propensione ad aggregarsi e a fare rete, ma anche nell’utilizzo di strumenti finanziari alternativi a quelli tradizionali. Siamo da tempo impegnati, come sistema associativo, a individuare e promuovere forme di accesso al credito alternative e migliorative per le imprese, sia in ordine alla tempistica che agli oneri. Va in questa direzione la riforma del Fondo centrale di garanzia per le Pmi che ha proprio l’obiettivo di aumentare l’efficacia dello strumento ampliando la platea dei beneficiari e facilitando l’accesso al credito per imprese (medie, piccole e micro) ancorché fragili, ma economicamente e finanziariamente sane. E’ con questo stesso spirito che abbiamo nei mesi scorsi definito, rinnovato e implementato una serie di Accordi con primari istituti di credito. Un contributo importante, da questo punto di vista, arriva anche dalla Regione con “Garanzia Campania Bond” che introduce nel nostro territorio uno strumento già rodato con successo dal sistema Confindustria e che ci auguriamo possa rendere più agevole e meno costosa l’emissione di minibond da parte delle piccole imprese.
Altro problema: tempi di recupero dei crediti che le imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione restano troppo lunghi
Secondo i dati dell’European payment report 2019, l’Italia ha ridotto il tempo medio di pagamento dai 131 giorni del 2016 ai 67 del 2019. Ma malgrado i passi in avanti, il nostro Paese si colloca ancora al di sopra della media europea (42 giorni) e di quella di Paesi come Germania (27 giorni), Regno Unito (28 giorni) e Francia (48 giorni). La situazione rimane ancora molto allarmante per il settore dei lavori pubblici dove si registrano ritardi fino a 168 giorni ovvero 5 mesi contro i 60 previsti per questo tipo di fatture. Secondo un’indagine Ance nei primi 6 mesi dello scorsi anno 8 imprese su 10 hanno registrato ritardi con gravi ripecussioni: metà delle imprese ha dovuto ridurre gli investimenti e un terzo effettuare licenziamenti. E in questo quadro desolante il Sud continua a essere il fanalino di coda del Paese con Basilicata, Abruzzo e Sicilia che superano anche di due mesi i tempi medi di pagamento. Quindi qualcosa si è fatto ma è ancora poco.
Quando è distante l’Europa dal Sud e dalla Campania? I fondi europei hanno avuto qualche effetto sull’economia del Mezzogiorno?
Se l’Europa appare sempre più distante dal Sud e i fondi strutturali non sono riusciti a incidere sull’economia meridionale, la responsabilità va imputata in gran parte alla politica economica nazionale degli ultimi 20 anni. Quelle che erano nate come risorse aggiuntive sono diventate nel tempo sostitutive rispetto alle risorse ordinarie di competenza dello Stato, snaturando così lo spirito stesso delle politiche comunitarie di “coesione”, nate cioè per colmare i divari tra aree diverse dello stesso territorio. Il Mezzogiorno paga il prezzo più alto del disimpegno dei fondi da parte dello Stato e la previsione di dover destinare al Sud il 34% delle risorse è ancora solo sulla carta.

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