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Incontriamo Massimiliano Campanile, imprenditore napoletano, tra i migliori hair stylist e titolare in Campania di un marchio internazionale.

Campanile, allora qual è lo stato dell’arte anche per la sua azienda in questo momento?                                                                  
Difficile, soprattutto perché all’orizzonte non si prospetta nulla di chiaro ma solo un continuo rimando di notizie che non ci rassicurano per niente.

Riavvolgiamo il nastro e ritorniamo indietro ai giorni dell’ordinanza regionale che vi ha imposto la chiusura.                             
A dire il vero, la mia azienda l’ho chiusa qualche giorno prima che il presidente De Luca imponesse anche alla nostra categoria la serrata. Ho ritenuto giusto farlo perché, insieme ai miei collaboratori, ho ritenuto impossibile continuare a lavorare potendo salvaguardare la salute dei miei dipendenti e della clientela.

Un gesto senz’altro lodevole. Saranno stati momenti concitati e pieni di preoccupazione. Adesso la situazione come si sta evolvendo?   
Lo abbiamo fatto con la consapevolezza e la convinzione di chi fa un piccolo o grande gesto per il proprio Paese a cui ci sentiamo fieri di appartenere. Non potevamo fare altrimenti e, successivamente, abbiamo rilanciato anche tantissimi inviti a rimanere a casa in nome del bene comune. In silenzio abbiamo atteso le mosse del governo.

Come le giudica queste iniziative intraprese dall’Esecutivo, nello specifico il cosiddetto decreto “Cura Italia”?
Se le rispondessi dicendo che sto ancora aspettando le mosse del governo?

Ma noi stiamo parlando del “Cura Italia”.
Infatti, questo decreto, per il momento, rimane un semplice slogan televisivo. Non c’è nulla di utile per gli imprenditori.

Vorrebbe che lo Stato versasse della liquidità nelle vostre tasche? Ci spieghi meglio.
Nulla di tutto questo.  Noi imprenditori del Sud non chiediamo misure assistenziali, interventi  a pioggia o le classiche e inutili una tantum che non garantirebbero nulla.

Allora?
Per farla breve, così lo spiegherò dopo, chiediamo che l’anno fiscale venga accorciato, che si provveda a eliminare quei mesi di chiusura forzata, che si cancellino tutte le tasse da pagare per il periodo in cui siamo rimasti, forzatamente,  chiusi a causa di questa emergenza. Abbiamo perso gli incassi, fa niente e guardiamo avanti. Però non possiamo pagare anche le tasse, seppur rimandate ad altra data, per i periodi in cui non abbiamo lavorato.

Ecco, la sua proposta in questo modo diventa più chiara. Lo Stato, quindi, cosa dovrebbe fare?
Comprendere le nostre esigenze, capire il grave danno subito e condividerlo con i propri cittadini senza apparire come un patrigno. Abbiamo perso noi l’incasso e altrettanto deve fare lo Stato, altrimenti la ripartenza sarà ancora più difficile.

Secondo lei come sarà questa ripartenza?
Innanzitutto non sappiamo come e quando avverrà. Di sicuro sarà lenta, sia per la limitata disponibilità economica delle persone sia per la paura che la gente avrà nel riprendere la vita con regolarità. 

A questo punto lei nutre dei timori per la sua impresa?
Sì, nutro serie preoccupazioni perché si prospetta una situazione tutt’altro che rosea. Se nel momento in cui riapriremo l’attività, senza aver ancora incassato un euro, il primo pensiero bisognerà dedicarlo al pagamento di tasse che riguardano un periodo in cui siamo stati chiusi, allora la ripresa non potrà esserci o, nella migliore delle ipotesi, potrebbe avvenire in tempi lunghissimi. Se un’azienda media come la mia scricchiola quale sarà il destino di quelle più piccole?

Si è fatto un’idea su questo?
Non bisogna essere esperti di economia per dirlo, ma assisteremo a una serrata di tantissimi piccoli negozietti che provocherà una crisi profonda e definitiva. Avremo silenzio per le strade perché le serrande dei negozi saranno tutte chiuse.

Quindi, concludendo questa nostra chiacchierata. Come proverà a risolvere i problemi della sua azienda?
Voglio essere ancora una volta propositivo, sperando che il governo recepisca l’appello degli imprenditori. Altrimenti anche io, dopo ben 35 anni di carriera, dovrò valutare la malaugurata ipotesi di dover ricorrere ai licenziamenti.

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