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Il Parlamento Italiano

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Sembra che tutti abbiano registrato, più o meno con soddisfazione, che nelle condizioni attuali una caduta immediata del governo Conte non è possibile e forse neppure auspicabile, visto che una soluzione alternativa non c’è e il ricorso ad elezioni anticipate è impossibile per un bel po’ di mesi. Dunque c’è a disposizione un tempo di attesa che i partiti potrebbero sfruttare per sistemare i loro affari interni. Ad averne bisogno sono in molti.

I due partiti che hanno più necessità di fare un tagliando sono i Cinque Stelle e la Lega. I primi dovrebbero decidere come ritrovare quella coesione indispensabile per riguadagnare consensi visto che i sondaggi continuano a segnalarne il declino. Finora si era trattato di una caduta molto sensibile di consensi, almeno la metà, ma dato l’alto livello da cui si partiva rimaneva ancora una presenza che poteva avere un notevole peso. Forzando un po’ il parallelo, ci sarebbe ancora più o meno la percentuale che la Lega ha avuto nelle elezioni del 2018 e che le ha consentito di andare al governo con M5S, che però aveva il 33%. Il PD per ora è lontano da quella soglia e semmai è la Lega ad averla raggiunta.

PROGRAMMA GRILLINO

Certo così si ragiona sui sondaggi che sono tutto fuorché una scienza certa: si veda quello che è accaduto in varie elezioni regionali. Dunque i Cinque Stelle devono darsi un programma di governo e che sia tale da metterli al riparo dei ricatti che vengono dalle loro intemerate del passato. Sono disponibili a farlo? Ufficialmente no, perché per mobilitare i loro pasdaran hanno bisogno di agitare le vecchie bandiere. Lo si è visto ieri nella manifestazione romana, espressione del loro più tradizionale stile agitatorio sul nulla, perché l’obiettivo della manifestazione non era difendere una normativa che avevano fatto approvare, ma provare ad impedire che si giudicasse se essa poteva avere valore retroattivo. Eppure alla fine su quel fronte si sono schierati tutti i grillini, compresi ministri accreditati di essere consapevoli di cosa significa governare come Patuanelli.

La Lega appare alle prese con la necessità di cavarsi di dosso il mantello della demagogia. E’ questa l’operazione che sembra affidata a Giorgetti e ad altri, dopo aver constatato in Emilia quanto poco fruttuoso sia percorrere la strada del populismo agitatorio. L’impressione della solidità della svolta è stata subito contraddetta non solo dalle resistenze di chi aveva lucrato visibilità e potere dal nuovo radicalismo destrorso (tipo Borghi, tanto per dire), ma dallo stesso Salvini che evidentemente teme di perdere il consenso di una ampia platea di “arrabbiati” per inseguire quello di un establishment moderato che non è poi certo sarebbe disposto a schierarsi dietro le bandiere del Carroccio.

Naturalmente in questi ondeggiamenti del leader leghista giocano un ruolo sia il timore che una revisione dei mantra populisti lasci ulteriore spazio alla crescita del partito della Meloni, sia la preoccupazione che una apertura sul centro moderato finisca per indebolire Forza Italia col duplice rischio di una pesante rottura con Berlusconi e di una crescita dell’appeal di Renzi su alcune componenti del centrismo di FI.

In questa situazione gli altri partiti sono invogliati a giocare di sponda. Alla Meloni e a Berlusconi si è già accennato: stanno sulla riva del fiume e aspettano di vedere cosa succederà dentro la Lega. Sul versante opposto il confronto è fra il PD e Italia Viva. Il partito di Zingaretti sembra aver deciso di starsene fermo finché non si capirà come finisce la vicenda dei Cinque Stelle. La speranza è che trovino un equilibrio che faccia loro abbandonare i mantra di cui hanno nutrito la loro presa sul grande pubblico. Si è fiduciosi che quando avranno toccato con mano che quella stagione è alle spalle, tutto si sistemerà, al massimo col prezzo di una modesta scissione degli irriducibili. A convincerli del cambiamento dei tempi provvederanno le elezioni regionali e amministrative che si terranno fra maggio e giugno, dove non pare ci siano spazi per un riscossa dei pentastellati.

DEFICIT DI CONSENSO

Renzi è convinto esattamente del contrario: più si indeboliranno, più i Cinque Stelle si arroccheranno intorno alle loro solite bandierine e questo consentirà di riaprire quella questione sul governo che ora ha dovuto rassegnarsi a chiudere. C’è solo il problema, tutt’altro che piccolo, che Italia Viva è un partito di colonnelli con scarsissime truppe. E’ vero che potrebbe guardare ad un’area abbastanza vasta, ma quella non è vuota: ci sono Calenda, Più Europa, i moderati di FI. Anche in quel caso più di un elettorato alla ricerca di chi gli dia rappresentanza siamo in presenza di una pluralità di colonnelli e capitani che si litigano fette di un elettorato che al momento rimane potenziale e incognito.

È invece piuttosto evidente che tutti i partiti hanno bisogno di espandere il proprio consenso per contare in un quadro di permanente instabilità sostanziale: tanto più che è in discussione una legge elettorale proporzionale che certo non aiuterà a ricompattarsi Per questo avrebbero però bisogno di lasciarsi alle spalle le fumoserie delle battaglie pseudo-ideologiche per accreditarsi invece come motori di interventi capaci di contrastare il destino di un paese come il nostro in bilico fra stagnazione e recessione. Vasto programma, come si sarebbe detto una volta, ma comunque programma difficile da affrontare se il tema che assilla tutti i partiti continua ad essere la conquista di spazi di visibilità e di azione nei teatrini della politica anziché sull’impervio terreno della promozione di una riscossa utile all’intero paese.

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