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La Maestà sofferente di Gaetano Pesce

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Il consigliere ed ex presidente della Lega nel Municipio Centro Ovest, dipendente del gruppo del Carroccio in Regione, Renato Falcidia, sui social, definisce spazzatura l’opera di arte contemporanea dell’artista e designer di fama mondiale Gaetano Pesce che ha opere esposte al Moma di New York, al Victoria and Albert Museum di Londra, al Centre Pompidou di Parigi e ora una mostra in Cina.

E, di conseguenza, attacca la mostra voluta dalla giunta del sindaco Marco Bucci e che è stata presentata anche dal presidente della Regione Giovanni Toti. Al post di Falcidia arriva il like di Francesca Corso, presidente delle Pari Opportunità del Comune, che forse ignora come la scultura criticata sia il simbolo dell’impegno di Pesce a favore delle donne e degli eventi organizzati dal Comune per sostenere la causa contestualmente alla mostra.

Il monumento è infatti il simbolo del pregiudizio maschile che affatica e ostacola la donna in ogni sua forma espressiva. Come le femministe di sinistra a Ferrara, il noto critico Renato Falcidia, prevedibilmente, contesta la “Maestà sofferente” di Gaetano Pesce, uno tra i grandi italiani a New York, rimproverando radicalmente l’artista con argomenti risibili che entrano nel merito dell’invenzione e della estetica della sua opera. Magari non gli piace neanche Picasso, e, figuriamoci, Duchamp.

Stavamo aspettando la sua sentenza. Falcidia ignora che Pesce è uno dei pochi artisti non raccomandati dalla sinistra, essendo contro il regime culturale che impone il pensiero unico cui si piega anche lui. Ma, dovrebbe sapere Falcidia, la creatività degli artisti è libera e indipendente. Ed ecco la semplice, onesta storia: considerato che il corpo della donna risulta privo di testa e arti, l’oggetto che maggiormente evoca è senza dubbio una poltrona.

Anzi non lo evoca, lo è, partendo da un prototipo elaborato da Pesce cinquant’anni prima, come egli stesso dichiara, in un tempo lungo di conversione ai valori femminili e ai diritti, conquistati in mezzo secolo, appunto, dalle donne. Nessuno obbligava un maschio a fare un monumento alla Maestà ferita, alla Maestà tradita o alla Maestà sofferente; e dovrebbe essere considerata una conquista che un uomo, un artista, nei limiti della sua visione, dedichi un monumento, come non ve ne sono, alla donna.

A suo modo. Ma non basta. Falcidia entra nel merito della creatività di Pesce, avanzando osservazioni di tipo moralistico, proprio come hanno fatto le femministe ferraresi: “il nostro problema è un altro: che la violenza di genere venga rappresentata attraverso la riduzione della donna a un corpo inerme e non pensante. E la enormità dell’opera non fa che amplificare questo effetto: corpo inerme e non pensante”. Bravo Falcidia! Ti faremo dare la tessera del Pd! Un’opera d’arte, più o meno riuscita, non è un saggio di sociologia! Deve far pensare. Anche con le metafore, anche con il sogno, anche con una interpretazione visionaria.

Nessuno più di Pesce ha interpretato la varietà e i sussulti, i movimenti e le oscillazioni dei comportamenti e del gusto, anche negli ambienti familiari, dove stanno letti e poltrone. E, d’altra parte, se Falcidia e le femministe avessero un po’ di pudore, avrebbero ricordato che alcuni capolavori di De Chirico, archetipi per Pesce, rappresentano mobili nella valle, con grandi e poeticissime metafore. Per alcune interpretazioni essi indicano il nomadismo e il ricordo di trasferimenti di case e di luoghi, nella infanzia. Nell’arte entrano remote suggestioni psicologiche. Nella  tesi di due donne, Rebecca Gander e Paola Montini,  per il corso di Letteratura artistica del semiologo Paolo Fabbri, si legge: “La poltrona, anche come ricordo legato alla madre,  ci sembra che ricopra in De Chirico una posizione di particolare rilevanza dove, di volta in volta, assume funzioni importanti: vitale per un paralitico; come trono dorato per la madre che sorveglia e protegge lui e il fratello; come luogo dell’abbandono ai pensieri dolorosi del padre del figliol prodigo; oppure come emblema del potere e dell’autorità legata al prefetto”.

È consentito? Lo stesso De Chirico, nelle “Memorie della mia vita”, trasfigura sedie, letti e poltrone in una dimensione poetica, di ritorno all’infanzia. E che dire del più ferrarese dei dipinti di De Chirico, “Le muse inquietanti” dove, davanti al Castello Estense, si palesano non uomini, ma manichini? Risulta che qualche uomo abbia contestato De Chirico che ha ridotto l’uomo a manichino, togliendogli testa e arti, e riducendolo a un fantoccio inerme e non pensante? Nessuno ha mai ritenuto di mettere in discussione le scelte di De Chirico. Adesso è arrivata l’ora Falcidia. A Falcidia non deve piacere De Chirico. A Falcidia e alle femministe non piace Pesce. Sanno bene loro cosa vuol dire lui. E cosa dovrebbe dire? L’arte non si giudica, se non rispetto alla sua incidenza storica.  L’arte si sente, perché sensibili, più delle persone comuni, sono gli artisti. E pochi sono intelligenti, e sensibili, come Gaetano Pesce. Poveri Falcidia e seguaci, comunisti senza saperlo. Aspettiamo il loro giudizio anche su Evola, Magritte e Henry Moore. E su tutta questa brutta arte degenerata.


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