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Renato Pozzetto in "Lei mi parla ancora" di Pupi Avati

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“NON sono mica di quelli che fanno un commissario e poi lo rifanno per dieci anni”, ha detto in un’intervista di qualche giorno fa Renato Pozzetto.

Ha fatto il comico per mezzo secolo o giù di lì, sorrisi e risate in abiti mutanti e adesso ha preso al volo l’offerta di Pupi Avati e s’è fatto “serio”, chi dice drammatico, in realtà semplicemente e splendidamente commovente in “Lei mi parla ancora” (in programmazione su Sky o Now Tv se preferite).

Chi l’avrebbe immaginato, se non Pupi Avati? Grande Pozzetto! A ottant’anni è un altro, ma sempre lo stesso: quello che, parole sue, ha “mandato a cagare” più persone e personaggi che tutta la storia del cinema messa insieme. L’ha fatto ancora sere fa quando s’è sentito proporre la marzulliana domanda “La vita è più un massaggio ai muscoli della coscienza o la coscienza è più il muscolo trainante della vita?”. Suspense al tavolo di Fabio Fazio e poi il Pozzetto di “Cochi e Renato” prende la scena e sgancia il fulmineo invito: “Ma vai a…”.

Totò si sarebbe fermato a “Ma mi faccia il piacere”, che è la stessa cosa. Paolo “Fantozzi” Villaggio ne avrebbe trovata un’altra. Chissà cosa avrebbe detto Renato Rascel. Alberto Sordi avrebbe intonato un suo classico: “Te c’hanno mai mannato a quel paese”. Rascel, Totò, Sordi, Villaggio, in ordine cronologico. Rascel, il “piccoletto”, il “corazziere” del teatro leggero, come veniva chiamato quello “di rivista” che nobilitava il pop dell’avanspettacolo: fu chiamato dal regista Alberto Lattuada per interpretare Carmine De Carmine, sfigato impiegato comunale con il miraggio di un capotto (Il cappotto è il titolo del film e del racconto di Gogol qui rivisitato), che lo portò al Nastro d’Argento.

Totò al suo ultimo film fu Totò Innocenti e frate Ciccillo in Uccellacci e Uccellini un’altra opera d’arte di Pier Paolo Pasolini in quella sua fiabesca Roma (“È il mio film che ho amato di più” disse una volta il poeta), fu anche lui Nastro d’Argento. Paolo Villaggio fu il prefetto Gonnella (e gli fu compagno d’arte Roberto Benigni) in La voce della Luna, l’ultimo film di Federico Fellini e vinse il David di Donatello. E Sordi, Albertone nostro, l’americano di Roma, il marchese del Grillo e tutto il resto che sarebbe troppo lungo ricordare ogni emozione, fu, tra le altre cose da I magliari in poi, Giovanni Vivaldi, Un borghese piccolo piccolo che, scritto da Vincenzo Cerami e diretto da Mario Monicelli, fece per tutti una messe “grande grande” di premi, di successo e di storia del cinema. Il quale, ha detto Renato Pozzetto, non è “né piangere né ridere”, ma è soltanto “cinema”.

Chi se lo ricorderebbe più al tempo del lockdown, se non ci fossero un Pupi Avati e un Renato Pozzetto a ricordarcelo in quella struggente storia raccontata con la delicatezza dell’amore vero dal farmacista Sgarbi? Avati che ha restituito una “dignità” d’attore (altrimenti considerati di Serie B) ai vari Diego Abatantuono, Christian De Sica, Fabio De Luigi, Neri Marcoré e Massimo Boldi (solo per citare i casi più eclatanti ed escludendo il suo attore feticcio Carlo Delle Piane).

“Lei mi parla ancora” e ci parla ancora il cinema, il grande cinema, facendoci sapere che c’è un attore d’ottanta anni che si chiama Renato Pozzetto. “La vita l’è bela, l’è bela”, e il cinema pure, quando c’è.


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