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Una sala cinematografica vuota

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Non ci sarà una riapertura, il 27 marzo, di cinema e teatri, né locali di musica ed eventi. È evidente. Non ci sono le condizioni, è quasi tutto rosso. Chissà perché, non più di una decina di giorni fa, il ministro Franceschini avrebbe negoziato la riapertura di cinema e teatri in una situazione in cui pareva abbastanza ovvia una stretta, per facilitare l’effetto delle vaccinazioni ed arginare una eventuale terza ondata e “varianti”.

Annunciare la riapertura è stato un errore. Proprio lui che del virus ha sempre avuto molta paura e che, per giustificare la chiusura dello scorso 26 ottobre, disse “Chiudo perché non vi rendete conto di quello che sta accadendo”.

E mentre Conte Bis diceva “Gli artisti ci fanno molto divertire”, Draghi, appena insediatosi a Palazzo Chigi, ha tolto a Premier Futuro la delega al Turismo istituendo un ministero apposito – cosa che non accadeva da circa 30 anni – ribadendo la ferma intenzione di chiudere tutto almeno fino a Pasqua.

Perché Franceschini, a pochi giorni dalle dimissioni di Zingaretti a capo del PD (“Mi vergogno, i miei compagni di partito pensano solo alle poltrone”), ha messo insieme cinema e teatri – due mondi profondamente diversi – per andare a chiedere al Cts la possibilità di riaprire? Il Cts, dal canto suo, ha preso la cartellina di sei mesi fa e avrebbe anche inasprito: “Va bene, ma non si potrà mangiare in nessuno spazio e il massimo della capienza consentita è soltanto il 25% della sala”.

Tuttavia, pochi giorni dopo a Sanremo, Monica Guerritore, con il suo volto segnato dal grande teatro d’autore (sarà Fiorella la mamma di Totti nella serie di Sky), rivolgendosi a 10 milioni di spettatori, gaudente esulta “Finalmente riaprono i teatri, dal 27 marzo saremo lì”.

Lo ripetiamo: quella delle sale cinematografiche è sì una valenza socioculturale ma subordinata ad un sistema industriale nel quale un film di prima visione esce su scala nazionale, con gli spettacoli serali aperti, potendo mangiare in sala e non dovendo rinunciare al 75% della capienza. Il problema, al momento, non si pone. Riaprire in quelle condizioni non sarebbe stato un passo avanti, ma uno indietro. Adda passà ‘a nuttata.


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