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«NEI miei film ho spesso rappresentato la mia terra, l’amata Puglia. E il racconto non è ancora finito». Parole di Lino Banfi, nome d’arte di Pasquale Zagaria, 84 anni, più di cento film e tante fiction alle spalle. Da un paio d’anni alterna il cinema alla tavola: la sua “Orecchietteria Banfi” è un ristorante aperto con tutta la famiglia nell’elegante quartiere Prati di Roma, mentre “Bontà Banfi” è una sua linea di prodotti, tutti rigorosamente pugliesi, presenti nella grande distribuzione dei supermarket.

Banfi, come nasce l’idea di darsi alla cucina?

«Mio padre era un ortolano, curava i suoi orti e quelli degli altri, e fin da bambino mi raccontava storie sulle verdure; da dove venivano, le origini, la stagionalità a km 0. Ne ero affascinato e le ho portate con me, negli anni anche facendo l’attore. E così ho deciso di aprire il ristorante».

Tutto a gestione familiare, tre generazioni che lavorano insieme.

«Vista la mia passione per l’agro-alimentare, i miei figli, Rosanna e Walter, mi hanno detto “perché non apriamo un locale a Roma?”. In cucina c’è mia nipote Virginia, la figlia di Rosanna, con il suo compagno che è lo chef. Walter, Rosanna e mio genero stanno in sala, parlano con le persone e dirigono. Si può dire che ho un genero alimentare!».

Cosa si mangia?

«I migliori piatti della tradizione pugliese: dalle orecchiette come “Porca puttène” che è piccante, ai panzerotti farciti fino alle friselle condite. Tutti prodotti freschi che ogni giorno arrivano dalla Puglia, come la burrata di Andria o il capocollo di Martina Franca. Accompagnati dai vini, come il corposo nero di Troya che io ho chiamato “Salute”. Proprio qualche giorno fa abbiamo festeggiato un anno dall’apertura».

Le capita mai di mettersi dietro ai fornelli?

«No. Quando vado assaggio le novità e mi invento anche qualche piatto nuovo. Prima faccio qualche prova a casa. Sperimento e poi propongo. Ogni volta che entro al ristorante si ferma il traffico. La gente si alza, mi abbraccia e vuole fare i selfie. Sono tutti molto affettuosi».

L’ingrediente o il suo piatto preferito?

«Amo molto i nostri sottaceti, come i lampascioni perché sanno di profondo, di terra e di buono. E poi anche i funghi cardoncelli che crescono solo nelle Murge».

Qualche consiglio doc pugliese?

«Pranzi e cene richiedono sforzi, poi stando a casa non si può neanche smaltire. Consiglio di alternare un pasto con delle sfiziosità tipiche: i nostri tarallini speciali, il “tarallocchio” con curcuma e finocchio. Per le merende olive grandi di Cerignola, caciocavallo e cardoncini».

Con “Bontà Banfi” i sapori di Puglia raggiungono tutto il Paese.

«E non solo visto che esportiamo anche all’estero: i prodotti vengono venduti nei grandi supermercati anche del Nord America, ci sono gli italo-americani che mi adorano perché hanno seguito tutta la mia carriera. La linea è nata da un desiderio che avevo da sempre e volevo realizzare da “vecchio”. Mi faceva piacere che su molti cibi pugliesi, sull’olio e la salsa ci fosse la mia faccia. Noi attori siamo un po’ megalomani. Anche perché quando non ci sarò più, nessuno parlerà più di me. È il modo per lasciare qualcosa di buono».

Il suo sogno è ancora una cucina di 100 metri quadrati, come quella di Aldo Fabrizi?

«Si, abitavamo vicini nel quartiere romano di Piazza Bologna ed eravamo molto amici. Quando andavo a casa sua aveva questa poltrona con le rotelline e si spostava in questa cucina, grande come un salone, dove aveva tutto a portata di mano come i coltelli affilati per tagliare il pane ciociaro. A tavola era un grande intenditore e amava molto mangiare».

Spesso nei suoi film c’era molto cibo, Spaghetti a mezzanotte, Occhio malocchio prezzemolo e finocchio.

«C’erano soprattutto molte docce e donne meravigliose, forse le più belle del cinema di quel periodo: Edwige Fenech, Barbara Bouchet, Laura Antonelli e Nadia Cassini. Si mangiava tra un’insaponata e l’altra…».

Il suo film più popolare è forse L’allenatore nel pallone.

«Credo di sì, un cult intramontabile. Ho conosciuto perfino Bearzot, uno dei commissari tecnici più amati dagli italiani. Bearzot che aveva visto L’allenatore nel pallone, un volta mi portò in ritiro con la Nazionale a Pescara e mi disse “così mi darai dei consigli tecnici”. È un film che hanno amato in molti. Oronzo Canà è entrato nel mondo del calcio facendo sorridere tutti. Gli stadi, quando riapriranno, dovranno essere luoghi solo all’insegna del sorriso».


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