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Pfizer, AstraZeneca, Moderna, Janssen, Sputnik, Sinovac… Una sequela di sieri, basati su meccanismi diversi e con pochi mesi di sperimentazione alle spalle per arrivare il più velocemente possibile al risultato comune: sconfiggere la pandemia di Covid.

Ma l’obiettivo di lungo raggio della ricerca scientifica resta quello di arrivare a un vaccino unico contro i coronavirus, per metterci al sicuro da future emergenze sanitarie scatenate da questa particolare famiglia di patogeni.

A questo sta lavorando, fra i tanti, un team del Duke human vaccine institute (Dhvi) di Durham (Carolina del Nord, Usa). Il siero sviluppato dal pool si è dimostrato sinora efficace nel proteggere scimmie e topi da varie infezioni da coronavirus, fra cui Sars e Sars Cov-2.

Ma anche da tipologie di coronavirus che hanno ancora effettuato il salto di specie dal pipistrello all’uomo, ma rischiano di farlo in futuro.

Il pan-coronavirus (questo il nome del nuovo vaccino) non si basa né sul meccanismo dell’mRna (come Pfizer e Moderna), né su quello del virus vettore (AstraZeneca e Janssen), puntando sull’innescare la risposta immunitaria dell’organismo tramite una nanoparticella formata da parti del patogeno destinate a legarsi ai recettori cellulari. I risultati, in particolare quello (significativo) sui primati, sono stati pubblicati su Science.

«Abbiamo iniziato a lavorarci la scorsa primavera – ha spiegato Barton F. Haynes, coautore e direttore del Dhvi – eravamo consapevoli che, come tutti i virus, anche quello del Covid avrebbe subito delle mutazioni. I vaccini a mRna erano già in via di sviluppo e stavamo cercando modi per provare la loro efficacia appena fossero comparse le varianti».

Il pan-coronavirus, ha proseguito, «non solo ha fornito protezione da Sars Cov-2, ma anche dalle varianti inglese, sudafricana e brasiliana. Gli anticorpi sviluppati, in realtà, si sono dimostrati efficaci contro un ventaglio piuttosto ampio di coronavirus».

Nel loro lavoro i ricercatori sono partiti da precedenti studi condotti sul virus della Sars, scoprendo che una persona infettata dalla stessa era in grado di neutralizzare anche altre tipologie di coronavirus.

Da lì l’idea che fosse possibile realizzare un pan coronavirus. Il tallone d’Achille di questi patogeni è rappresentato dai recettori con cui si agganciano alle cellule, che possono facilmente essere presi di mira dagli anticorpi. Gli scienziati hanno quindi progettato una nanoparticella che prevedesse tali aree di vulnerabilità, dotata di un adiuvante composto di piccole molecole per rafforzare la risposta immunitaria dell’organismo.

Questo sistema, nel caso delle scimmie, ha bloccato l’infezione nel 100% dei casi, con livelli di anticorpi neutralizzanti negli animali superiori a quelli generati negli uomini dai vaccini attualmente impiegati nella lotta al Covid. Negli ultimi venti anni, ha ricordato Haynes, «ci sono state tre epidemie di coronavirus negli ultimi 20 anni, quindi è necessario sviluppare vaccini efficaci in grado di colpire questi patogeni prima della prossima pandemia»


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