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Non bisogna tirar fuori Big Pharma e teorie del complotto per capire che sulla corsa al vaccino per il coronavirus si stia giocando una partita finanziaria senza esclusione di colpi. Basta dare uno sguardo all’analisi di Morgan Stanley (Ms) sui guadagni previsti nel relativo mercato: fra i 10 e i 30 miliardi di dollari durante la fase pandemica e tra i 2 e i 25 miliardi l’anno in quella endemica, quando mutazioni del patogeno, nuove nascite e necessità di estendere la profilassi alla parte di popolazione non ancora immune contribuiranno a tener viva la domanda. Un calcolo che la banca d’investimenti americana ha effettuato stimando in 1,8 miliardi il numero di persone che verranno trattate con vaccini prodotti da società occidentali, a un prezzo per dose che potrebbe andare dai 10 ai 20 dollari negli Stati Uniti, dai 5 ai 15 nell’Unione europea e dai 5 ai 10 negli altri Paesi.

A conferma di quanto il comparto sia remunerativo c’è il caso di Moderna, azienda di bio tech Usa che nelle scorse ore ha annunciato di aver registrato ottimi risultati nella fase di sperimentazione pre-clinica di mRna-1273, siero anti Covid19 basato sulla codifica la proteina Spike, usata da Sars-Cov-2 per agganciarsi alle cellule dell’organismo ospite. A due settimane dalla somministrazione di 25 o 100 mg di prodotto tutti i partecipanti ai test sembrano aver sviluppato una quantità di anticorpi pari o superiore a quella dei soggetti guariti dalla malattia.

«Sulla base dei dati ad interim positivi della Fase I e su modelli murini, Moderna pensa di arrivare allo studio di fase 3 a luglio e in caso positivo di depositare la domanda per l’approvazione del vaccino» ha detto alla Cbc il ceo della società Stèphan Bancel. Tanto è bastato per far impennare le azioni di Moderna sul listino di Wall Street. In chiusura di contrattazioni, al termine della scorsa settimana, ogni titolo veniva venduto a circa 18 dollari, segnando un più 20%.

Per i progressi raggiunti, mRna-1273 è stato inserito da Ms nella short list dei 6 vaccini con maggiori probabilità di successo, al termine di una scrematura che ne ha coinvolti, in totale, 110. La notizia è che nella lista della banca non figura il siero di Novavax, azienda già in passato finanziata dalla Bill and Melinda Gates Foundation. Ma proprio l’annuncio di un investimento da 388 milioni di dollari da un’altra fondazione della galassia che fa riferimento al creatore di Microsoft – la Bill Gates Coalition for Epidemic Preparedness Innovations – ha fatto crescere il valore della società.

Fra i papabili vaccini anti Covid individuati da Ms c’è, invece, ChAdOx1 nCoV-19, sviluppato dallo Jenner Institute di Oxford in collaborazione con il gigante farmaceutico AstraZaneca e con l’Advent-Irbm di Pomezia. I test sulle scimmie sembravano aver subito un rallentamento dopo che su alcuni quotidiani esteri era stata battuta la notizia di un macaco risultato positivo al virus a seguito della somministrazione. Ma il presidente di Irbm, Piero Di Lorenzo, intervenendo su Radio1 ha smentito spiegando che il primate non si è ammalato. «Sta benissimo – ha sottolineato – l’unico problema è eventualmente che gli può venire una rinite o un raffreddore Si tratta di trovare la dose giusta del vaccino».

Nella lista troviamo anche Ad5-nCoV della cinese CaSino Biologics – in collaborazione con i ricercatori militari dell’Esercito popolare di liberazione – che ha annunciato di essere passata alla fase 2 di sperimentazione. E tuttavia, ricorda The Guardian, della prima tranche di test non sarebbero stati pubblicati risultati dettagliati, facendosi riferimento solo a «dati preliminari sulla sicurezza del siero» che giustificherebbero l’approdo al secondo step di trial. L’elenco di Morgan Stanley comprende anche il vaccino sviluppato in partnership fra la tedesca BioNTech e l’americana Pfizer, quello frutto dell’alleanza tra la francese Sanofi e la britannica GlaxoSmithKline e, infine, quello a cui sta lavorando il gigante Usa Johnson & Johnson.


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