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Il parlamento italiano

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Di “politica-spettacolo” si discute da almeno quarant’anni, con una accentuazione del tema ai tempi d’oro del berlusconismo. Riandando indietro con la memoria però essa era dilettantesca rispetto alla fase attuale quando ormai si è affermata la professionalizzazione delle messe in scena continue a cui ricorrono tutte le forze politiche, anche se non con la stessa abilità: in questa fase non c’è paragone fra quanto riesce a fare la Lega, ma anche con quanto, pur con una verve molto minore, riescono a fare i Cinque Stelle e quanto sono capaci di fare le opposizioni. Del resto gli andirivieni di Salvini sull’affaire petro-rubli costituiscono un pezzo quasi di virtuosismo teatrale a cui è difficile sottrarsi.

Ora, se volessimo esibirci in un po’ di riflessione storica, ricorderemmo che lo scrittore politico inglese di metà Ottocento che si chiamava Walter Bagehot aveva già teorizzato che in politica ci fossero due versanti: la “scena teatrale” che era data dagli scontri parlamentari ed elettorali, ed il “segreto efficiente” che era l’azione di governo che in concreto, magari anche con qualche dialogo fra maggioranza e opposizione, veniva svolta attraverso l’attività legislativa ed amministrativa per affrontare i problemi reali. Bene: per lungo tempo questo schema politico ha funzionato, più o meno bene a seconda dei vari periodi. Ora invece del “segreto efficiente” si è persa completamente memoria e tutto è affidato alla competizione per il dominio della scena teatrale.

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Nessuno sembra chiedersi quale sia il costo di questa riduzione della politica a sceneggiata continua. Non se lo chiedono i media che fanno o dovrebbero fare opinione pubblica, ma è comprensibile: vista la crisi in cui versano, in parte per eccesso di offerta, sono interessati ad essere i sostenitori e propagatori di questa dimensione teatrale che li nutre e li sostiene (almeno fino ad un certo punto).

L’osservatore esterno non può invece fare a meno di dedicarsi al tema, perché non ci vuol molto per constatare come tutta questa discussione fra attori e imbonitori stia impedendo di mettere mano ai grandi problemi che affliggono il nostro paese. Certamente per una quota rilevante dei cittadini va benissimo se nessuno li mette di fronte ai nodi in cui sta incappando il nostro futuro: generano angoscia, perché ci si rende conto che non sarà facile scioglierli e comunque ci vorrà tempo e non è possibile capire veramente come andrà a finire. La politica è normalmente uno strumento per progettare il futuro, quello vicino e quello più in prospettiva, ma se progettando si deve constatare quanto ardua e incerta sia la realizzazione della costruzione che si ha in mente, ecco che si preferisce pensare a qualcosa di più dominabile e che desta meno preoccupazioni.

Il trionfo di tutte le demagogie, per usare vecchi termini tanto quelle di destra quanto quelle di sinistra, è dato da questo contesto. Si sono rimesse in moto le grandi migrazioni di popoli? Dividiamoci fra chi predica di fermarle bloccandole non si sa come e chi predica che non c’è problema tanto c’è posto per tutti, cosa vuoi che succeda. C’è una crisi del sistema di welfare che si è costruito nell’ultimo secolo? Ecco un bello scontro fra chi pensa che la risposta sia nello smontarlo e chi sostiene che sia nel rimanere fermi a quel che si era acquisto nei tempi eccezionali dell’età dell’oro. C’è un problema di governo dei grandi mutamenti che si sono innescati a livello mondiale? Ecco una eccellente occasione per mettere in scena lo scontro fra chi prospetta una chiusura in vecchie o nuove nazionalità storiche e chi favoleggia integrazioni fra stati sino ad immaginare un’unica grande federazione mondiale (l’ONU, mai stato in crisi come adesso).

Sono alcuni esempi su temi sulla cresta dell’onda, ma che si potrebbero facilmente moltiplicare. Tanto per accennare ad un altro che sta giusto emergendo ora in Italia: la riforma del sistema di tassazione. Forse qualcuno avrà notato che si comincia a rimettere in pista un antico tema: è più giusto tassare, magari progressivamente i redditi (tassazione diretta) o prelevare risorse con imposte sui beni che si consumano (tassazione indiretta)? Un tempo si affermava che la tassazione indiretta era iniqua perché colpiva indifferentemente, e, come è ovvio, era meno sopportabile da chi aveva minori risorse da spendere. Oggi sembra prevalga l’idea che il cittadino è più contento se gli lasci comunque in tasca un reddito meno falcidiato dalle tasse e pazienza se dovrà pagare un po’ di più per i suoi consumi. Vale ovviamente per chi ha redditi almeno decenti, ma degli altri chi si cura a Milano, come avrebbe detto il buon Manzoni?

Il fatto è che in epoche di transizione la lotta politica si concentra, purtroppo, sul confronto per l’egemonia delle aspettative e non sulla conquista della credibilità come forza capace di avviare a soluzione i problemi. Poiché sembra prevalere, per quanto non sia ammesso coscientemente, la sensazione che tanto i problemi non sono risolvibili, e soprattutto non a buon prezzo, allora meglio affidarsi a chi è capace di farci sognare.

Non va bene, perché il prezzo che si pagherà per questa fuga onirica dalle turbolenze del presente non sarà lieve. Occorrerebbe una rivolta delle persone di buon senso e di buona volontà per rimettere al lavoro una fruttuosa dinamica politica. Qualcosa magari si muove ai margini del sistema, ma al momento è troppo poco per aspettarsi un deciso cambio di passo.


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