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Cara Elvira, caro Osvaldo, vi voglio ringraziare pubblicamente per avermi consentito di realizzare un piccolo sogno. Mandare in edicola con la “vecchia” carta un giornale curato da noi, ma pensato e scritto da voi. L’idea che non riuscivo a togliermi dalla testa di un’agorà dove il capitale umano più prezioso che ha questo Paese, il talento dei suoi ventenni, la riserva di valore nascosta nelle pieghe di un Sud di dentro dimenticato da tutti, esca dalla retorica della fuga dei cervelli e dal suo guscio avvelenato di risentimenti.

Per aprirsi e cominciare a raccontarsi. Per farci capire le emozioni e le ambizioni che si dimenano in un tumulto tutto personale e allo stesso tempo collettivo, il gusto della fatica e il cuore che mette radici ovunque, i territori di casa e i territori del mondo. Andare via per tornare chiedendosi perché non accade o perché accade così raramente.

Che cosa significa essere cittadini del mondo e che cosa fa in modo che i geni italiani se ne vanno e che molti (quasi) analfabeti facciano i ministri. Che cosa possiamo fare per togliere agli ingegneri americani che non sanno niente di cultura l’algoritmo del futuro e costruirlo noi in casa magari dove meno te lo aspetti, alle porte di Cosenza, con la cultura della logica deduttiva in quella università della Calabria oggi guidata da Nicola Leone dove si mettono in fila per imparare studenti di Oxford, Vienna e dei principali college americani?

Esperienze di vita, ma anche inchieste e punti di vista, tutto fatto da voi con la regia di un curatore d’eccezione, qual è il nostro Marco Castoro, e l’impegno di uno scambio di idee che permetta di misurarsi con ciò che viene prima e dopo il vostro tumulto collettivo. Ne approfitto subito e vi dico: avete una grande occasione, coprire il vuoto delle classi dirigenti del Sud e delle coscienze ormai assopite e rassegnate, occupandovi e mobilitandovi per ciò che investe direttamente il vostro futuro.

Ha un nome strano questo muro altissimo, costruito con le pietre dell’egoismo, contro il quale rischiano di infrangersi la forza e l’entusiasmo dei Venti dal Sud di cui siete portatori. Si chiama autonomia differenziata. Vuol dire che pezzi del Paese, segnatamente Lombardia e Veneto, vogliono farsi staterelli mettendo sul conto della spesa pubblica dello Stato italiano un loro fantomatico extra-gettito. Sono i ricchi che vogliono fare pagare ai poveri la loro crescita facendo finta di ignorare che esiste un vincolo di pareggio di bilancio che costringerebbe a mettere sul conto di chi ha meno ciò che indebitamente si darebbe a chi ha di più. Fanno finta di non sapere che non esistono i residui fiscali delle Regioni ma degli individui e che non hanno alcun titolo per pontificare sull’investimento delle risorse che si ricavano presuntivamente dal loro territorio con la tassazione.

Semplicemente perché quelle tasse non sono loro, spesso traggono alimento da reddito prodotto altrove, non conteggiano la rendita redistributiva proveniente dalla sottoscrizione di titoli pubblici italiani, ma soprattutto provengono da chi contribuisce in qualità di cittadino italiano non di finanziatore del “si – stema Varese-Gallarate e dei suoi poltronifici” o degli appetiti assistenziali dei “galli lombardo- veneti”, i Governatori Fontana e Zaia, asserragliatisi nel Ridotto della Valtellina. Sentono di poterlo fare perché hanno la pancia piena e nessuno ha mai posto un argine alle loro azioni di svuotamento della cassa pubblica del Sud a favore del Nord. Vogliono probabilmente evitare che siano costretti a fare chiarezza in Parlamento su quanto si sono ingiustificatamente accaparrati di spesa pubblica che è di certo superiore a un inesistente residuo fiscale, su questo la dottrina è concorde, e comunque contrario a ogni elemento minimo di perequazione obbligatorio per uno Stato unitario o federale che sia. La verità è che da almeno dieci anni in qua, con il trucco della spesa storica, i Governatori delle Regioni del Nord si sono abbuffati di decine e decine di miliardi di spesa pubblica indebitamente sottratta alle regioni meridionali per cui è sotto gli occhi di tutti che c’è un treno a alta velocità ogni mezz’ora tra Milano e Torino e nemmeno uno in ventiquattro ore da Napoli a Reggio Calabria o tra Bari e Napoli.

Così come è sotto gli occhi di tutti che, sempre attraverso il trucco della spesa storica per cui il ricco è sempre più ricco e il povero sempre più povero, un bambino che nasce a Casoria o Altamura riceve zero euro di spesa pubblica per gli asili nido e chi nasce in Brianza tremila euro pro capite. Essere riusciti per dieci anni a scavare indisturbati nelle pieghe del bilancio pubblico italiano con una scavatrice tanto miope quanto potente li ha convinti di potere chiedere sempre di più e di attingere così anche ai fondi delle amministrazioni centrali che sono pari a un quarto del totale e dove sopravvive un criterio di ripartizione delle risorse più equo e solidaristico. Vi riporto, di seguito, che cosa ha dichiarato al Corriere della Sera sabato scorso lo “stati – sta” di Varese, Attilio Fontana, Governatore pro tempore della Regione Lombardia, dopo che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, si è giustamente opposto alle scuole e agli stipendi dei ricchi con i soldi dei poveri nelle regioni dei ricchi.

“Sono dei piccoli individui… questo è il governo della più bieca restaurazione… e quando si dice che i risparmi fatti sul nostro territorio devono essere messi a disposizione degli altri, non si comincia neanche a discutere perché vuol dire premiare l’inefficienza e penalizzare l’ef – ficienza”. Ho già scritto e lo ripeto qui. Penso che Giovanni “Albertino” Marcora si stia rivoltando nella tomba ma anche i Tognoli e i Bassetti avranno molto da ridire, per parlare di un Nord che ci piace e ha i suoi degni eredi nei Sala, nei Pisapia e nei Tabacci, solo per fare qualche nome. Se la politica si riduce a una conta di soldi, peraltro altrui, e all’idea di mettere su un altro staterello (Lombardia o Veneto) per farsi gli affari propri con la spesa pubblica di un altro Stato (Italia) senza mai rendere conto di ciò che si è indebitamente avuto negli ultimi dieci anni, tutto precipita. Non muore solo la politica. Si rompe l’Italia. Se persiste il silenzio delle classi dirigenti meridionali o la politica dei piccoli cabotaggi loro e dei loro amici, tocca a voi alzare la voce e farvi sentire. Non c’è un muro degli egoismi che possa reggere l’urto dei Venti dal Sud. Lo fate anche per loro. Perché anche se fanno finta di dimenticarselo non possono non sapere che se si continuano a“tagliare” venti milioni di persone l’economia italiana non potrà mai rialzare la testa. Sarebbe bello che dai giovani di talento della parte più debole del Paese partisse un messaggio forte che esprime la lungimiranza che loro hanno smarrito. Vorrebbe dire che l’Italia ce la può fare. Anzi, ce la farà.


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