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L'esito del voto sulla mozione No Tav del Movimento Cinquestelle

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La sceneggiata sul nulla è andata in onda come da programma. Specifichiamo che parliamo del nulla perché come è a tutti noto le mozioni non producono effetti né subito (decreto legge) né dopo (disegno di legge). Si è scelto un simbolo, il Tav della Torino-Lione, che si è deciso di realizzare, per fare la solita campagna elettorale.

Le mozioni dei grillini parlano alla pancia dei loro elettori e, visto che l’opera si farà, solleticano e ingrassano la pancia degli elettori leghisti e del loro capo movimentista. L’eterno duello Di Maio-Salvini dove uno perde (il primo) e l’altro vince (il secondo) in termini di consensi; il conto vero che è quello della più grave crisi reputazionale della storia recente del Paese lo paghiamo tutti noi con la debolezza dell’economia reale e un fossato sempre più largo in termini di tassi perfino tra noi e Spagna e Portogallo (cosa senza precedenti).

C’è, però, un altro nulla di cui nessuno parla e con il quale abbiamo deciso di aprire il giornale di oggi. Riguarda il Tav del Sud e questo nulla non appartiene al fumo sovranista e populista delle chiacchiere politiche inconcludenti, senza effetti collaterali reali. Appartiene alle cose concrete che producono danni devastanti perché isolano geograficamente venti milioni di persone e condannano l’Italia intera a uscire dal novero dei Paesi industrializzati. 

Rendono una chimera irraggiungibile il ritorno della crescita reale e consegnano a un destino coloniale franco-tedesco-cinese il Nord e a una deriva di sempre crescente povertà il Sud. Un capolavoro assoluto frutto della insensatezza di una scelta regionalista basata sugli egoismi e gli scippi di risorse pubbliche sottratte indebitamente alle regioni meridionali dalle mani rapaci dei governatori del Nord attraverso il trucchetto della spesa storica introdotto con la legge Calderoli del 2009 meglio nota come il gioco delle tre carte. Per attuare un insensato federalismo, possibile ma non obbligatorio, si è deciso che la spesa sociale e quella per investimenti avvenissero con il criterio della spesa storica (carta regina che fa stravincere il Nord) per cui il ricco diventa sempre più ricco e il povero sempre più povero, mentre si sono fatte cadere nel cestino, con la destrezza dei giocatori di Pontida e Varese che hanno umiliato i colleghi di Forcella, le carte dei Livelli essenziali di prestazione e dei Fabbisogni standard che avrebbero dovuto tutelare la parità dei diritti dei cittadini nei settori di mobilità, sanità e scuola.

Cristo si era fermato a Eboli. L’alta velocità ferroviaria si ferma a scartamento ridotto a Salerno, 36 chilometri prima e come documenta nella sua inchiesta Giuseppe Donato 50 anni fa si impiegava meno tempo di oggi per andare da Reggio Calabria a Roma o da Napoli a Bari. La miopia politica e l’azione estrattiva di risorse pubbliche operata negli ultimi dieci anni dalla classe dirigente del Nord, a spese del bilancio pubblico che è di tutti, superano da sole, in termini quantitativi e qualitativi, i danni altrettanto reali che l’inadeguatezza (non sempre) della classe dirigente meridionale ha prodotto ai suoi cittadini e alle sue attività economiche. Questa dura realtà va affermata, anzi urlata, senza complessi di colpa, perché è la chiave di tutto. Questa chiave può aprire o chiudere la porta del futuro a seconda se si prende atto della realtà e si cambia o se si persiste nell’egoismo dei ricchi e ci si autocondanna tutti al declino.

Potremo sbagliarci (questo giornale chiude in tipografia alle 21.15) ma il misto di sceneggiata politico-mediatica è destinato a continuare e a salire di tono. Il filo di governo si può ovviamente spezzare da un momento all’altro visto che la matassa gialloverde è composta da gomitoli fatti apposta per non stare insieme. Riteniamo, tuttavia, che i due gemelli in crisi di reciproca affidabilità, Salvini e Di Maio, continueranno a fare l’unica cosa che sanno fare, con diversa capacità, e cioè parlare alla pancia dei loro elettori in una campagna elettorale permanente dove parlano da opposizione, sono al governo e non governano, il Paese va allegramente alla malora perché il rumore assordante del comizio eterno rende tutti inconsapevoli.

Poi, a ottobre, dopo l’ultima pagliacciata e l’inedito della crisi salvo intese, Conte e Tria, con la regia e la benedizione di Mattarella, salveranno i conti dell’Italia e proveranno a contenere i danni in casa e in Europa. Noi ovviamente saremo sempre con loro. I due gemelli continueranno a parlare alla pancia dei loro elettori con slogan nuovi e sogni datati e, ovviamente, troveranno il modo di addossare la colpa della loro nullità all’Europa, alla finanza, ai mercati. Insomma, a tutti quelli che non c’entrano nulla. A quel punto, si potrà finalmente votare e il vento del Nord tornerà a soffiare forte con un dato nuovo rispetto al passato.

A guidare il blocco moderato sarà l’ala più movimentista e sovranista, si moltiplicheranno le Pedemontane venete, piazze e strade inutili al Nord, assistenzialismo al Nord. Gli amici degli amici e i politici trombati del Lombardo-Veneto continueranno a essere sistemati nelle micromunicipalizzate dove il numero degli amministratori supera quello dei dipendenti e dove salari e prebende sono foraggiati dal bilancio pubblico nazionale e segnatamente dalle risorse dovute al Sud indebitamente sottratte. Per arrivare da Salerno a Eboli, figuriamoci a Reggio Calabria, con l’alta velocità ci sarà sempre qualche cofinanziamento che manca, scippato dal Nord. Perché la storia non si ripeta c’è una sola via: l’operazione verità in Parlamento, lanciata da questo giornale, sulla ripartizione della spesa pubblica tra Nord e Sud, la conoscenza informata dei fatti e la mobilitazione delle coscienze. Smentendo i luoghi comuni sulla mentalità meridionale e sulla sua classe dirigente.

Dipende da noi.


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