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L’idea anacronistica del capitalismo familiare nel Paese di Villa Arzilla. Si è perso il capitalismo, sono rimasti i capi-famiglia. Nessuno vuole morire e tutti vogliono un impegno. Comprendiamo. Possiamo condividere che l’Ingegnere, Carlo De Benedetti, 85 anni tra un mese, sia affezionato alla sua “Repubblica” ma comprendiamo meno il perché di un’offerta al minimo per l’intero gruppo Gedi (25 centesimi a azione) poco più della metà di quanto offerto un anno fa da un manager di valore come Flavio Cattaneo e dal Fondo Peninsula (40 centesimi). Avrebbe potuto indirizzare meglio le sue ambizioni di mecenate su la Repubblica e L’Espresso, lasciando fuori il resto, e provando così a restituire almeno una parte di quanto ha guadagnato per la sua comunità. Può chiedere di fare la Fondazione per i suoi “gioielli”, non per quelli che ha preso dopo. Sorvoliamo sulle beghe familiari anche se una cosa vogliamo dirla: tra il padre Carlo e il figlio Rodolfo, rispetto ai giornali, c’è la distanza che separa un elefante da un insetto.

Leonardo Del Vecchio, classe 1935, un anno in meno di De Benedetti, ai miei occhi è insieme a Michele Ferrero (che non c’è più) e al figlio Giovanni che ne ha raccolto degnamente l’eredità, la bandiera del capitalismo familiare italiano globalizzato. Voglio dirlo, per evitare equivoci. Proprio per questo, però, ci ha colpito l’operazione voluta da Del Vecchio che ha condotto alla fusione multimiliardaria tra la sua Luxottica e la francese Essilor. Sul piano industriale siamo in presenza di un capolavoro, ma per vedere se alla fine comanderanno gli italiani o i francesi dovremo attendere un po’, lui di sicuro si batte come un leone, il sistema Paese non lo aiuta e chi scrive ha posto il problema in tempi non sospetti. Che è quello di una debolezza strutturale in termini di successione familiare e di conseguente rischio della perdita di controllo anche dove siamo i più bravi. In queste settimane Del Vecchio è tornato protagonista perché ha rastrellato sul mercato il 7% di Mediobanca e, a mio avviso, sta dicendo a Alberto Nagel, il capo della banca di affari voluta da Mattioli e impersonificata da Cuccia, che non può fare il deus ex machina senza mettere in discussione uno statuto che lo rende insostituibile e, sullo sfondo, resta il tema del rapporto non lineare con i francesi. Sarà un caso ma si è risvegliato l’amico d’Oltralpe Bolloré per difendere Nagel e Mediobanca rimane la porta d’ingresso della finanza francese in Italia. Con effetti collaterali importanti su Generali e Unicredit.

L’EDITORIALE COMPLETO SULL’EDIZIONE CARTACEA DI OGGI DEL QUOTIDIANO DEL SUD-L’ALTRAVOCE DELL’ITALIA


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