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Tutti, proprio tutti, sono impegnati a fare tattica intorno al cratere in cui brucia l’industria siderurgica italiana e, dietro di essa, un pezzo residuo della credibilità internazionale dell’Italia, ma ancora non prendono coscienza che gli errori politici gialloverdi e giallorossi i franco-indiani ce li faranno pagare con gli interessi. Oggi il nuovo tormentone, pensate un po’, è che non è solo un problema di tutele penali ma di mercato dell’acciaio, come se qualcuno ne avesse mai potuto dubitare. Il punto è che l’ignoranza elevata a potere ministeriale (Di Maio) e il ricatto di chi ha visto l’immeritato potere ministeriale sottratto (Lezzi) hanno messo il Paese nelle condizioni di dovere pagare in termini di penale e di piano industriale un extra-costo di non poco conto. Hanno avuto anche il “merito” di mettere la sordina a questioni bancarie e industriali che non solo fanno presagire quanto poco possa servire l’operazione verità se non determina un cambio di rotta nella politica territoriale degli investimenti pubblici e del credito alle imprese, ma addirittura come l’Italia rischi di essere l’unico grande Paese europeo dove si possa guidare una grande banca (Unicredit) agendo in piena libertà, ovviamente in modo profittevole, ma totalmente fuori da ogni logica di sistema Paese. Al punto da potersi legittimamente porre il quesito se ancora esista.

Non si tratta di invocare dirigismi fuori dalla realtà, ma apprendere che Unicredit dismette al meglio l’8,4% di Mediobanca e taglia l’ombelico della storia finanziaria del Paese tra le ex banche dell’Iri e l’ex salotto finanziario di Cuccia con uno sbrigativo preavviso di circostanza al Tesoro della Repubblica italiana autorizza a porsi più di un interrogativo. È bastato scrivere ieri poche righe per essere sommersi di telefonate private che esprimevano un solo concetto: ci sarà rimasto qualcuno in grado di fare capire a Jean Pierre Mustier che in tutti i Paesi del mondo le grandi banche fanno le strategie di quel Paese e che, invece, lui dell’Italia non se ne frega nulla? Tutto ciò è insopportabile. Non solo o non tanto perché se fosse alla guida di una banca francese non si permetterebbe nemmeno di pensarlo e concorderebbe ogni passo su partecipazioni di rilievo con Macron o con Le Maire sulla base dell’interesse nazionale d’Oltralpe, ma anche perché nel mondo occidentale questa è la regola di “mercato” dominante anche in economie come quella tedesca dove le casse locali sono ancora in mano alla politica e dove il problema di Deutsche Bank è gestito da capi azienda che non muovono foglia senza l’avallo della politica.

Oggi Unicredit ha finalmente chiarito che la subholding che riunirà tutte le attività internazionali sarà controllata al 100% dalla holding italiana. La notizia può tranquillizzare, ma conferma anche la scelta strategica di riunire tutto l’estero sotto una subholding globale dove l’unico Paese tenuto fuori è proprio l’Italia. Possibile che su quest’uomo che ha venduto il risparmio lombardo-veneto alla Amundi di Crédit Agricole riaprendo una trattativa praticamente chiusa che tutelava di più il risparmio italiano o che può decidere di uscire da Mediobanca di testa sua nessuno abbia da dire qualcosa non solo al telefono ma anche in pubblico? Eviterei proclami nell’ombra del tipo è ora di mandarlo via, forse un’interpellanza parlamentare alla luce del sole aiuta di più e richiede meno coraggio. Si può fare, insomma. Anche tra un plauso e l’altro del mercato.


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