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C’è un signore ineffabile che sorride sempre. Si chiama Gianfranco Battisti, dottore in scienze politiche. Lo hanno catapultato dalla Divisione passeggeri e dalla gestione del patrimonio immobiliare (Sistemi Urbani) ritenuto non più funzionale addirittura alla testa delle Ferrovie dello Stato Italiane nel luglio del 2018. Parliamo di un’impresa che ha cambiato l’Italia con l’Alta Velocità e che ha avuto come capi azienda ingegneri di ferro della stazza di Moretti. Amici fidati ci hanno riferito che non ci credeva nemmeno lui, il Battisti da Fiuggi.

Rideva certo, ma non aveva ancora perso il senso della misura perché si chiedeva: siete sicuri, proprio io? Deve esserci stato un errore di persona. Invece no, era tutto vero: il dottor Battisti non si deve più occupare di servizi di customer satisfaction per viaggiatori, dolce salato bibite, e di compravendita di mattoni e binari in disuso, ma assume le stellette di primo ferroviere italiano alla guida del colosso industriale dei trasporti. Si racconta con malizia che fosse il più alto in grado conosciuto da Di Maio e questo lo ha trasformato in un capo azienda, il resto lo ha fatto Toninelli di cui Battisti è stato mentore e ombra e di cui si sente oggi orfano. Come dire: ognuno sceglie i compagni di viaggio con cui si trova meglio, si fiutano tra di loro per tante cose a partire dalla competenza sulla materia.

Nella biografia ufficiale di Battisti c’è scritto che si occuperà di bisogni delle persone e di sviluppo sostenibile, forse è giusto per l’unico caso di capoazienda inventato tout court. Come sapete a noi i cfo promossi ceo non piacciono, ma qui il pericolo non si corre perché i titoli per fare il capo della finanza e tenere a bada i conti neppure ci sono. Speriamo, questo sì ci farebbe molto arrabbiare, che i bisogni delle persone di cui intende occuparsi non siano solo quelli da Firenze in su. Se non altro perché il suo dante causa politico, il Movimento 5 stelle, ha il proprio granaio di voti (aveva?) nel Mezzogiorno ci eravamo illusi che le ragioni di mercato di lungo termine dello Stato imprenditore italiano avessero indotto l’azienda Ferrovie a investire in modo significativo nelle regioni meridionali. A sanare la vergogna civile, prima ancora che economica, che riguarda venti milioni di persone (sì persone, signor dottor Battisti) tagliate fuori dal servizio di Alta Velocità e costrette a utilizzare treni di seconda mano o, peggio, di scarto.

Oggi apprendiamo e il grande Simone Di Meo ne ha avuto visione che a fronte di un piano ufficiale che prevede il 40% di investimenti al Sud e il 60% al Nord all’interno di un piano quinquennale da 56 miliardi, ne circolerebbe ai piani alti di FS uno ufficioso dove la cifra media (reale) destinata al Sud oscillerebbe tra l’11 e il 16%. Proviamo sinceramente imbarazzo. Questo Paese ha azzerato la quota di investimenti pubblici (0,15%) in infrastrutture di sviluppo nelle regioni meridionali drenando risorse pubbliche dovute per raddoppiare i binari, comprare treni e così via dove ce ne era bisogno e facendo invece assistenzialismo puro con quelle stesse indebite risorse dove si stava meglio. Una vergogna totale e l’atto di morte futura dell’economia italiana.

Non sappiamo se questa bozza ufficiosa comanderà sul piano ufficiale, ma ci disturba molto la sua esistenza e deve essere chiaro almeno all’azionista Tesoro che chi si permette di ipotizzare (anche nel piano ufficiale) che la Napoli-Bari arriverà nel 2026 sta facendo melina. Così come sarà interessante capire come mai sono le Fs italiane a fare shopping nel mondo dove si opera con “cassa imprigionata” (pensiamo all’Inghilterra) o con compagni di viaggi discussi (Spagna) che si erano offerti a tutti e da tutti rifiutati. Andando a operare comunque sempre su rotte dove la maggioranza degli operatori leader, pubblici e privati, sono consapevoli che il rischio (se non la certezza) di accumulare perdite è elevato. La misura è colma. Ce ne è abbastanza per fare le verifiche urgenti e, se del caso, accompagnare Battisti alla porta. Possiamo garantire che non perderà il sorriso.


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