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Roberto Speranza e Giuseppe Conte

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La scelta dell’ex rettore cosentino dell’Università La Sapienza di Roma, Eugenio Gaudio, come commissario per la sanità in Calabria e di Gino Strada come consulente per l’emergenza sono i due assi tirati fuori da Conte per uscire dall’angolo strettissimo in cui si era infilato per colpa di Speranza e di Arcuri. Non sono stati nemmeno nominati e già emergono prese di distanza. Dopo due clamorosi infortuni non si può fallire la terza prova, ma ci siamo vicini. L’unico metro di giudizio riguarderà le capacità manageriali nella gestione della sanità perché questo è ciò che serve. I cittadini calabresi non possono unire al danno la beffa. La Calabria ha bisogno urgente di risorse adeguate e di manager competenti di provata indipendenza

Il ministro della Salute, Roberto Speranza, deve riconoscere i suoi errori e deve chiedere scusa ai calabresi. Il commissario per l’emergenza sanitaria, Domenico Arcuri, deve capire una volta per tutte che toccava a lui, non a altri, vigilare sull’operato gravemente inadempiente dei commissari ad acta in Calabria nominati dal ministro. Speranza e Arcuri escono da questa vicenda come massima espressione dello Stato confusionale italiano e come prova lampante della disattenzione strutturale ai temi decisivi della perequazione della spesa sociale e delle ragioni civili della riunificazione delle due Italie.

Questo giornale è stato chiarissimo dal primo giorno. Sulla vicenda della sanità calabrese non si gioca una importantissima partita territoriale, ma la principale delle partite nazionali perché è l’unica sulla quale il governo Conte rischia contro ogni logica l’incidente che può addirittura costringerlo a abbandonare il campo. Il numero della vergogna sono le terapie intensive che si contano sulle dita di una o due mani a seconda dei calcoli dopo otto mesi otto dalla prima ondata della Pandemia quasi che al ministro della Salute e al commissario per l’emergenza sanitaria non solo sfuggisse che loro, non altri, sono i “padroni” della sanità calabrese ma addirittura quale fosse lo stato di emergenza delle strutture sanitarie pubbliche di cui loro, non altri, hanno la responsabilità.

La scelta dell’ex rettore cosentino dell’Università La Sapienza di Roma, Eugenio Gaudio, come commissario per la sanità in Calabria e di Gino Strada, come consulente con una delega speciale per l’emergenza sono i due assi tirati fuori dal governo Conte per uscire dall’angolo strettissimo in cui si era infilato con le proprie mani che erano, poi, quelle di Speranza e di Arcuri. Non sono stati nemmeno nominati e già emergono prese di distanza. Si intravede in questa doppia scelta tutta la fatica di raggiungere un accordo all’interno di una coalizione di governo portatrice di interessi troppo diversificati e la necessità di moltiplicare le poltrone che non aiuta di per sé la fluidità della catena di comando. Entrambi, se rimarranno, perché siamo già a questo, verranno giudicati sulle capacità manageriali nella gestione della sanità perché questo è il compito che dovranno svolgere. È chiaro a tutti che dopo due clamorosi infortuni non si può fallire la terza prova e colpiscono i giochetti di palazzo di questi giorni che non possono non misurare la distanza dal morso dei problemi reali sanitari e economici della popolazione calabrese. Ciò che è successo fino a oggi non può ripetersi. Serve una svolta fortissima in termini di capacità gestionale, di indipendenza da pressioni indebite di ogni tipo, e di trasparenza nella allocazione territoriale delle risorse. Su tutti questi temi non faremo sconti di nessun tipo.

Sopravvive un’atavica incapacità a fare di conto e a dire una volta per tutte che è una vergogna civile, prima ancora che economica, la disparità di trattamento tra cittadini di serie A e cittadini di serie B. Dopo dodici anni di commissariamento ministeriale della regione Calabria e dopo undici anni di mancata attuazione della legge Calderoli sul federalismo fiscale non è tollerabile che i trasferimenti pro capite per investimenti fissi in sanità siano pari a 84,4 euro per l’Emilia-Romagna e a 15,9 euro per la Calabria. Questa regione non ha bisogno dell’ennesima fiction con un generale che non sa nemmeno di essere nominato soggetto attuatore del piano Covid e di un politico trombato che parla di baci in bocca. Ha bisogno di risorse adeguate e di manager competenti e di provata indipendenza perché le infiltrazioni massoniche e della ‘Ndrangheta all’interno delle aziende sanitarie della Calabria e nei palazzi della politica regionale sono state l’epitaffio di una politica ladrona e incapace che è incompatibile con ogni disegno sano di riequilibrio della spesa sociale e di rilancio dell’economia.

Perché i cittadini calabresi che per avere una sanità pari a zero pagano le tasse più alte di tutti non possono unire al danno certo di un servizio totalmente insufficiente la beffa di sentirsi apostrofare come spreconi, incapaci, e magari anche ladri e collusi con la criminalità organizzata. Che è un modo subdolo molto sottile per dire anche che qualsiasi fatica per cambiare le cose è tempo perso. Stracornuti e stramazziati, assolutamente no! I fatti sono che è inaccettabile che ogni giorno debbano partire migliaia di tamponi da Cosenza e da Catanzaro diretti a Bari perché non ci sono strutture in grado di processare questi tamponi in tempi normali. I fatti sono che è inaccettabile che per una protezione sanitaria dolosamente insufficiente l’economia già in ginocchio venga rasa al suolo rompendo quel filo di spago che separa la povertà dalla sotto povertà. I fatti sono che è inaccettabile che per rimediare a errori commessi dal Governo il Governo stesso impieghi una settimana per provare a metterci rimedio. Vogliamo essere molto chiari. Non è più tempo di compromessi ma di scelte chiare che non sono politicamente discutibili perché sono quelle che servono per affrontare al meglio l’emergenza calabrese sanitaria e l’emergenza economica nazionale. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo. Si segua il modello tedesco e si metta sul conto corrente delle partite Iva e delle imprese il 50% del fatturato dell’anno precedente. Questo significa preservare l’economia e fare in modo che all’uscita dal tunnel ci sia ancora chi continua a produrre reddito e lavoro. Altrimenti si dovrà dare sostegno al reddito a vita anche a chi perde un’attività per colpe non sue e non abbiamo così tante risorse per sostenere a vita il reddito di tutti.


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