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Jean Pierre Mustier

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Il fallimento di quegli uomini che ruotano da cosiddetti indipendenti intorno al Pd che sanno collezionare poltrone, ma gestire banche e governare processi non fa per loro. Occupano da sempre i posti in modo non meritevole e perpetrano l’uso politico delle poltrone producendo danni permanenti. Hanno approvato zitti e a cuccia la vendita dei gioielli di casa voluta da Mustier invece di opporsi e chiedere allora le dimissioni. Hanno un sussulto solo quando Mustier dice che non vuole la banca politica. Non riusciamo nemmeno a immaginare se ci sarà qualcuno così temerario da volersi infilare in questo ginepraio. Può accettare a una sola condizione. Che si resetti tutto e si ricominci daccapo

Non sono sospetto di simpatie per l’algido Jean Pierre Mustier. Non mi è mai andato giù lo spettacolino che ha ripetuto tutte le volte che sono entrato nella sua stanza al ventottesimo piano del grattacielo di Unicredit a Milano. Apre e chiude un quaderno di appunti in italiano, e ripete: “Sto studiando, sto studiando”. E poi la solita domanda: ”A te come va? Bene?” “Sì, bene” rispondo. E lui: “A Unicredit molto bene”. Finito l’italiano. Lo abbiamo visto piazzare nel silenzio complice di tutti lo scrigno globale (Pioneer Investments) del risparmio dell’amatissimo Lombardo-Veneto – quasi 90 anni di storia, duemila dipendenti in 28 Paesi del mondo, un patrimonio gestito di 200 e passa miliardi – sotto le insegne di Amundi, società di diritto francese nata meno di dieci anni fa, una joint venture tra Société Générale e il gruppo bancario Crédit Agricole.

Ho denunciato in assoluta solitudine che c’era un signore francese che manovrava riverito da tutti perché un pezzo pregiato del Lombardo-Veneto finisse nei possedimenti bancari parigini come ai tempi di Napoleone III che voleva questi territori “suoi” satelliti. Che le munizioni del risparmio dei nostri concittadini più ricchi, rispettando alla lettera tutte le procedure di una gara internazionale, grazie a Mustier avevano cambiato nazionalità e avevano fatto della sconosciuta Amundi il primo gestore di asset management dopo i colossi americani. Non ci piaceva affatto lui, ma non ci piaceva ancora di più il comportamento omertoso dell’establishment politico e finanziario italiano che ha avuto da sempre nel Pd e in Mediobanca i suoi cavalli di Troia.

Non avremmo mai creduto che dopo avere approvato zitti e a cuccia la vendita dei gioielli di casa voluta da Mustier, uomini che scambiano il consiglio di amministrazione di una public company bancaria in mano ai più grandi investitori mondiali per un’assemblea di qualche associazione di categoria, come il direttore di Assonime Stefano Micossi, riuscissero nel miracolo di fare passare da eroe del mercato Mustier e mettere la croce della politica sopra i prezzi azionari di una banca che ha visto quasi azzerare (2007, 203 euro; oggi 7,98) il suo valore per una gestione scellerata.

Perché Micossi & Company hanno approvato la vendita di pezzettini sempre più grandi di Fineco, che oggi da sola vale la metà di Unicredit globale con ritmi di crescita decisamente superiori, invece di opporsi e chiedere allora le dimissioni di Mustier? Dove erano Micossi & C. quando si è completata la vendita di
Bank Pekao, la seconda banca polacca e la prima per redditività in un mercato che cresce? Che cosa ci ha guadagnato Unicredit a uscire dalla banca più importante del centro est Europa?

Che esista un rischio Paese è fuori discussione, ma l’uscita dalla partecipazione turca Yapi Kredi e dalla joint venture con Koc sempre profittevoli e ancora profittevoli con tanto di penale, era proprio necessaria? Nulla da ridire, vero, quando Unicredit vende la quota di Mediobanca e si tira fuori con la consueta pelosa leggerezza dalla partita di Generali, crocevia del capitalismo italiano e bandiera della finanza del Bel Paese nel mondo?

Hanno avuto mai nulla da ridire questi professionisti dell’associazionismo finiti chissà perché nel board della banca italiana più internazionalizzata? Hanno mai preso cappello quando vedono che Intesa San Paolo che ha un capo azienda come Messina che sputa sangue, attua un disegno industriale e cresce mentre loro fanno finanza svuotando di valore la banca? Per carità, loro votano e approvano tutto, loro si svegliano e prendono cappello solo quando glielo chiede la politica? Dicono che Mustier se ne deve andare quando si deve fare l’operazione Monte dei Paschi e stanno perfino sempre zitti e muti quando l’ineffabile Mustier glielo mette per iscritto lasciandoli in mutande davanti ai mercati di mezzo mondo. Ma vi rendete conto in che mani siamo finiti!

Abbiamo stima dell’ex ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, designato presidente di Unicredit, ma come può accettare un uomo di caratura internazionale come lui, che sa e conosce bene le regole del mercato, che Mustier annunci il suo addio perché non vuole la banca politica e il Consiglio non abbia già pronto un sostituto indipendente, che sa di che cosa si tratta, che i mercati riconoscono e capiscono? Ma quale credibilità può avere un consiglio di amministrazione fatto di professionisti dell’associazionismo che non sanno niente della vita delle aziende vere e di rappresentanti delle fondazioni bancarie micro azionisti, che hanno un sussulto solo quando Mustier fa la prima cosa buona e, cioè, quando dice che la Banca non fa operazioni politiche? Come ci si può ridurre a tirarsi addosso questo stigma e a farlo per di più così maldestramente che il titolo perde oltre il 15% in tre giorni, e che i fondi stranieri ne abbassano il rating e cominciano a vendere per ché ritengono Unicredit una banca politica?

Ma davvero questo Paese è condannato a ripetere i pasticci di un assetto istituzionale frammentato e inconcludente anche nella finanza? Possibile che, grazie a questi uomini a mezzadria di tutti e tutto ma sempre espressione radicata di una Sinistra diventata Padronale, si riesca nel miracolo di dire così tanti sì e no sbagliati da fare trionfare l’anima della politica in una banca che ha un nome italiano ma è in mano ai signori dei mercati del mondo che ci mettono un attimo a spostare i loro capitali da una società all’altra?

Nemmeno la causa politica o sistemica che dir si voglia questo cda privo di reputazione può oggi più servire. Perché è evidente che d’ora in poi per Unicredit la parola Monte dei Paschi è tabù e tutto ritorna in discussione. Anche solo riproporre l’operazione in termini di mercato senza sganciare un euro attraverso le facce e le bocche di questo cda è bomba a orologeria. Questi uomini che ruotano da cosiddetti indipendenti intorno al Pd sanno collezionare poltrone e sanno fare buone analisi da salotto, ma gestire banche e governare processi non fa per loro. Occupano da sempre i posti in modo non meritevole e, cosa ancora più grave, perpetrano sempre l’uso politico dei posti producendo danni permanenti. Questi signori si sono tenuti un allenatore che ha perso tutte le partite e lo hanno voluto cacciare la prima volta che aveva scelto la squadra giusta. Non riusciamo nemmeno a immaginare se ci sarà qualcuno di così temerario da volersi infilare in questo ginepraio imbarazzante, finito fuori controllo. Ci permettiamo di dargli un consiglio. Può accettare a una sola condizione. Che si resetti tutto e si ricominci daccapo.


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