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Una riunione della conferenza Stato Regioni

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Sugli squilibri del Paese dice Bonaccini: “Se uno in una classe viene bocciato non è che l’anno dopo ripetono l’anno tutti”. Ma ha nulla da dire sul fatto che un cittadino emiliano-romagnolo riceve dal bilancio pubblico 84,4 euro pro capite di investimenti fissi in sanità e un cittadino calabrese ne riceve 15,9? Non le pare che una così macroscopica differenza di risorse, fuori dalle regole della Costituzione, possa generare qualche macroscopica differenza nella qualità del servizio? Se ci sono sei Presidenti di Regioni del Sud che si rivolgono direttamente al Capo del governo, vuol dire che la Conferenza dei Presidenti delle Regioni non rappresenta più una parte rilevante del Paese. Bonaccini farebbe bene a dimettersi per l’evidentissimo conflitto di interessi

Antonino Spirlì, leghista della prima ora e presidente per caso o malgré lui, della Regione Calabria, da qualche giorno è irraggiungibile. Lo cercano altri sei Presidenti delle Regioni del Sud per chiedergli di sottoscrivere la lettera al premier Conte in cui si chiede ragione del presunto furto da 40 miliardi ai danni del Sud messo in atto nel progetto di Recovery Plan italiano. È irreperibile, Spirlì, qualcuno di loro ritiene che sia stato convocato a Milano per “consultazioni”.

Non sappiamo se sia stato richiamato da Fontana, a ciò delegato dai due suoi “soci” della Triplice autonomista che sono Zaia e Bonaccini, o dal capo politico in persona che è Salvini. L’unica cosa certa è che lui, esattamente come Solinas, altro capo leghista alla guida della Regione Sardegna, non dà cenni di vita. Non dicono né sì né no. Se dovessero “riapparire”, farebbero bene i cittadini calabresi e sardi a chiedere loro se hanno qualcosa in contrario a che, dopo vent’anni di azzeramento della spesa infrastrutturale e di spoliazione di quella sociale, si torni a fare investimenti seri in scuola, ricerca, banda larga, sanità, treni veloci e porti nei loro territori. Siamo curiosi di conoscere la risposta.

Per due presidenti di Regioni che si nascondono ce ne è uno, il Capo di tutti, Stefano Bonaccini, che si fa avanti con la consueta sobrietà emiliano-romagnola dagli schermi di Sky TG24. Scandisce: “Se si pensa che la Sanità può essere gestita da Roma, venga qualcuno a raccontarlo in Emilia Romagna e vediamo come va il dibattito. Non con Bonaccini e la sua amministrazione, ma con gli emiliani e i romagnoli”. Poi, con il massimo della delicatezza, fa di più: “Non si è mai visto che, se ci sono squilibri nel Paese, si parte chiedendo a quelli, non dico migliori perché non mi permetterei mai, ma dove c’è il riconoscimento di una sanità pubblica, come quella dell’Emilia Romagna, che funziona e funziona solitamente bene. Se uno in una classe viene bocciato non è che l’anno dopo ripetono l’anno tutti quanti, si cerca di far andare un po’ meglio quelli che sono andati male”.

Presidente Bonaccini, a proposito di squilibri, ha nulla da dire sul fatto che un cittadino emiliano-romagnolo riceve dal bilancio pubblico 84,4 euro pro capite di investimenti fissi in sanità e che un cittadino calabrese ne riceve 15,9? Non le pare che una così macroscopica differenza di risorse, fuori dalle regole della Costituzione, possa generare qualche macroscopica differenza nella qualità del servizio? Visto che non glielo chiede nessuno, la domanda la facciamo noi: per quali imperscrutabili motivi il presidente della Conferenza Stato-Regioni si guarda bene dal mettere all’ordine del giorno la richiesta al Governo di adempiere alle disposizioni della legge Calderoli sul federalismo fiscale (2009) a partire dal varo dei fondi di perequazione sociale e infrastrutturale? Di grazia, perché non è stato mai possibile affiancare al criterio della speranza di vita quello della povertà o della deprivazione sociale?

È vero che se ci sono squilibri nel Paese non vanno risolti togliendo alle Regioni che funzionano bene, ma aiutando a fare meglio quelle che sono andate male. Interpreto così, in chiave positiva, le dichiarazioni del Presidente dell’Emilia Romagna, ospite di Sky TG 24, che ha manifestato un giusto orgoglio per la sanità nella Regione che amministra. Non immagino proprio che abbia voluto intendere che chi riceve più risorse e può far bene se le tenga ben strette e gli altri si arrangino. Se fosse così, sarebbe il trionfo della statistica, nella acuta e ironica definizione di Trilussa: “risurta che te tocca un pollo all’anno; e se nun entra ne le spese tue, t’entra ne la statistica lo stesso perché c’è un antro che ne magna due”.

Reso questo omaggio al grande poeta romano, del quale domani ricorrono i 70 anni dalla morte, cerchiamo di capire se, volendo essere fedeli al disegno costituzionale, gli squilibri possono rimanere o devono essere superati, e in questo caso quali sono gli strumenti finanziari da predisporre. È anche vero che ci possono essere amministrazioni efficienti e altre che hanno manifestato minore capacità di gestione.

Ma quando il divario delle risorse disponibili per la spesa sanitaria, che resta ancora raccordato alla spesa storica e non al fabbisogno per abitante, è così rilevante come questo giornale ha ripetutamente segnalato, anche la più efficiente delle amministrazioni non sarebbe in grado di erogare un servizio sanitario paragonabile con chi, in ipotesi e per stare allo schema di Trilussa, dispone del doppio di risorse.

La costituzione, ma ancora prima la stessa unità del Paese, richiede che gli squilibri siano rimossi. Questo vale anche nella prospettiva del federalismo fiscale, che valorizza l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle Regioni, prevedendo che abbiano tributi ed entrate propri e che partecipino al gettito dei tributi erariali riferibili al loro territorio. A questo criterio ne segue subito un altro, destinato a riequilibrare, appunto, le risorse. Lo Stato deve provvedere con un fondo perequativo a favore delle Regioni con minore capacità fiscale per abitante, in modo da ridurre adeguatamente le differenze tra i territori.

Non basta. Ancora la costituzione prescrive che lo Stato debba destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali in favore delle Regioni svantaggiate per promuovere lo sviluppo, la coesione e la solidarietà sociale, rimuovere gli squilibri economici e sociali. Dunque non un federalismo conformato allo schema offerto dall’ironia di Trilussa, ma una ripartizione delle risorse nazionali che permetta di erogare un eguale livello di servizi e di prestazioni sociali. Per altro profilo, anche questo è un diritto di cittadinanza. Ben venga una gara virtuosa tra le diverse Regioni per verificare i migliori sistemi di organizzazione e di gestione della sanità, ma a parità di risorse e condizioni di partenza.

E se ci sono Regioni incapaci o meno brave, intervenga il Governo, che può sostituirsi agli organi regionali quando lo richieda la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni sociali. Dunque non mancano al Governo strumenti per promuovere il buon andamento delle amministrazioni, attribuire le risorse necessarie e assicurare il livello dei servizi da rendere, senza limitarsi ad affidare a Commissari esclusivamente il rientro della spesa regionale nei margini stretti di risorse sin dall’origine inadeguate.


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