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Il Piano nazionale di ripresa e resilienza

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Si è perso negli anni il senso della confraternita di un Paese e di uno spirito di coalizione dove tutti si sentano ruote di un unico meccanismo nazionale. Di un sistema che si articola per regioni, ma è nazione. Questo spirito condiviso ricrea l’unità nazionale del Paese perché acquisisce come valore fondante che la burocrazia pesca i suoi uomini migliori in tutta la nazione. Se ritroviamo questo spirito, forse, anche il talk a reti unificate della propaganda sul nulla recupererà un’agenda più dignitosa e gestiremo meglio le sindromi reali e presunte della nuova variante Delta

Come riuscirà Draghi a convertire le strutture perché le strutture collaborino? Collaboriamo, ma ci dà qualcosa, dicono nei ministeri. Collaboriamo, ma ci dà qualcosa, dicono nelle magistrature contabili, amministrative e nelle debordanti authority.

Collaboriamo certo, ma che ci dà sottinteso che ci può dare, dicono nelle strutture delle Regioni dove le burocrazie si sentono più importanti di quelle dello Stato. Loro sono burocrazie inventate, dovrebbero cercare maestri per imparare qualcosa, ma si sentono i più potenti di tutti perché così li fanno sentire i loro mandarini della nomenclatura politica regionale.

La straordinaria occasione di rifare il Paese fornita dal Piano nazionale di Ripresa e di Resilienza passa di qui. Passa da questa collaborazione che oggi non c’è e che il governo Draghi sta con lucidità operando perché ritorni. Attraverso le riforme di sistema già approvate, ma da attuare, e ancora di più consolidando la rete di monitoraggio dei singoli provvedimenti e della loro esecutività centrale e regionale.

Il punto, però, è che qualcosa di importante deve ancora scattare nello spirito di nazione da parte di tutti. Per rompere il circolo vizioso delle oligarchie serve, forse, ricostituire un mercato nazionale delle burocrazie. Il problema, almeno quello più grave, è nato anche chiudendo il mercato delle competenze, chiudendo i territori nelle mani dei loro mandarini e dei loro burocrati di fiducia, facendo sì che a nessuno di questi passi neppure per la testa di imparare qualcosa in più o di aspirare a una crescita a livello nazionale.
Si è perso negli anni il senso della confraternita di un Paese e di uno spirito di coalizione dove tutti si sentano ruote di un unico meccanismo nazionale. Anche di più, direi.

Di un sistema nazionale che si articola per regioni, ma è nazione. Questo spirito condiviso ricrea l’unità nazionale del Paese perché acquisisce come valore fondante che la burocrazia pesca i suoi uomini migliori in tutta la nazione.

La lezione della storia ci insegna che l’unità nazionale si è fatta anche con la tradizione della grande burocrazia del Mezzogiorno che è arrivata a costruire l’identità di questo Stato. Questo fenomeno positivo che il regionalismo della irresponsabilità ha messo in crisi era stato, in parte, assorbito dai partiti che erano partiti nazionali, ma reclutavano dai bacini regionali per il sistema nazione. Questa è stata per decenni la struttura organizzativa dei partiti.

Questa cosa si è quasi persa per strada perché i partiti sono diventati strutture monocentriche, se volete romanocentriche.

Perché a Roma si “nominano” i parlamentari e a Roma si distribuisce il piccolo potere partitocratico sopravvissuto. A livello locale, dove in alcune regioni circolano ingiustamente troppi soldi pubblici, tutto è rimasto saldamente in mano ai portaborse dei capipopolo regionali e questo ha prodotto la ritirata della cultura delle élite e il teorema delle tante repubblichette che non fanno una somma ma una sottrazione.

Questo è il grande lavoro all’inverso da fare oggi e il Pnrr è un’occasione meravigliosa per provare a ricostituire, per la prima volta dopo tanto tempo, un’alleanza virtuosa tra centro e periferie. Non più pensare a incentivare l’interesse della tua repubblichetta, ma vivere piuttosto l’interesse della tua repubblichetta come un pezzo della ricostruzione del Paese e di qualcosa che resta nella storia.

Da questa operazione di Nuova Ricostruzione tutta l’Italia può, anzi deve, uscire, più importante e tutto ciò deve avvenire grazie a tutti noi, grazie al pezzo che ognuno di noi ha fatto, grazie a cose che accadono. Stiamo parlando di una rivoluzione copernicana. Bisogna tornare a capire che la ministra Cartabia è un’espressione della nazione, poi è milanese, come Daniele Franco è il ministro dell’Economia e poi è di Belluno. Bisogna tornare ai tempi in cui De Gasperi era il contributo che Trento dava all’Italia.

Se ritroviamo questo spirito, forse, anche il talk a reti unificate della propaganda sul nulla recupererà un’agenda più dignitosa e gestiremo meglio le sindromi reali e presunte della nuova variante Delta.


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