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Mario Draghi

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Bisogna rendersi conto che il Quirinale con tutte le sue funzioni è il luogo dove Draghi può esprimere al meglio la sua regia in casa e in Europa nell’interesse del sistema Italia. Non ha proprio alcun senso oggi parlare di candidature di destra o di sinistra. Alla testa della nazione in questa fase serve chi ha la statura di un profilo internazionale. Il grande risultato conseguito dal governo di unità nazionale guidato da Draghi è proprio quello di avere cambiato l’accoglienza internazionale dell’Italia per cui i creditori sono oggi convinti che i loro soldi torneranno a casa e gli investitori globali scommettono sull’Italia. Il problema italiano non è il “cinema” dei vertici europei dove si decide quello che si è costruito e pianificato prima, ma avere come Paese un referente riconosciuto su un arco di tempo lungo della nuova Europa di cui l’Italia ha vitale bisogno

Se si riesce a superare i banconi di nebbia del mondo dell’irrealtà che fabbricano quotidianamente i partiti si arriverà a capire che il profilo internazionale del nuovo Capo dello Stato italiano è oggi decisivo. Si riuscirà, forse, a comprendere che il problema di oggi non è andare ai vertici europei, ma essere referenti riconosciuti su un arco di tempo lungo della nuova Europa di cui l’Italia più di ogni altro Paese ha vitale bisogno.

Questo significa per il mondo la carta Draghi che è quella dell’uomo che ha salvato l’euro e ha cambiato in dieci mesi l’accoglienza internazionale dell’Italia. Il mondo vuole capire se la politica italiana ha fatto finta di capire o ha capito e userà come metro di giudizio non le chiacchiere, ma i fatti. Per rendersi conto, attraverso le scelte e i comportamenti, fino a quando, dove e come i partiti intenderanno continuare a giocare questa carta o se, addirittura, riterranno di poterne fare totalmente a meno.

Il problema italiano non è il “cinema” dei vertici europei dove si decide quello che si è costruito e pianificato in tutti i mesi precedenti su questo o quel dossier. Il problema è avere come Paese una classe dirigente all’altezza, un luogo dove si possono tessere queste tele e una leadership globale credibile che fa la differenza. Che consente di fare il “cinema” che a noi piace in quei vertici europei perché il Paese ha scelto il regista che permette di proiettare la pellicola migliore dove ognuno mette il suo pezzettino in un quadro d’insieme in casa e fuori. Perché abbiamo il regista con un contratto di ingaggio di sette anni che permette alla nostra nazionale di tutelare stabilmente il titolo Italia essendone garante e massimo tutore. Perché lo stesso regista italiano permette alla nuova Europa di fare passi avanti sulla strada della solidarietà che vuol dire parziale condivisione dei debiti, su quella del federalismo compiuto con difesa e politica estera comuni, avendo peraltro sempre due stelle polari in economia che sono crescita e coesione.

Tutte scelte che coincidono con l’interesse italiano come interesse generale del Paese e, cioè, dell’economia come della politica, delle imprese come delle famiglie. Questo è il punto dirimente su cui il Parlamento italiano dovrebbe riflettere nei giorni terribili del nuovo ’29 mondiale che non è una frase fatta ma la realtà e sul quale i parlamentari dovrebbero esercitare in piena coscienza il magistero della politica come espressione della sovranità popolare consapevole.

Volendo usare il paragone calcistico fatto da Renzi i parlamentari si dovrebbero porre questo quesito: vuoi più quello che fa goal o quello che passa la palla a chi deve fare goal? È così difficile rendersi conto che se non c’è chi gliela passa bene al momento giusto il goal l’Italia non lo fa mai.

Per questo, come è stato ieri per Mattarella, oggi serve Mario Draghi alla Presidenza della Repubblica. Bisogna rendersi conto che il Quirinale con tutte le sue funzioni di staff, dal segretario generale al consigliere diplomatico fino alle massime magistrature, è il luogo dove Draghi può esprimere al meglio stabilmente la sua regia in casa e in Europa nell’interesse del sistema Italia.

Non ha proprio alcun senso oggi parlare di candidature di destra o di sinistra. Alla testa della nazione in questa fase serve chi ha la statura di un profilo internazionale – dopo Draghi a nostro avviso c’è solo Amato ma con un impegno pubblico di lungo termine di mani libere a Draghi a Palazzo Chigi da parte dei partiti – che consente di guidare il Paese per quello che è realmente, non per quello che si vorrebbe che fosse e, cioè, un pezzo dell’Europa. Il sovranismo non esiste, è una balla in senso assoluto ma in modo speciale per un Paese come il nostro che è molto indebitato e che con il Piano nazionale di ripresa e di resilienza lo sarà ancora di più. Un Paese che ogni mese colloca sui mercati i suoi titoli e deve dare garanzie ai propri creditori, ma viene da venti anni di crescita zero e da una crescente diseguaglianza territoriale.

Il grandissimo risultato conseguito dal governo di unità nazionale guidato da Draghi è proprio quello di avere cambiato l’accoglienza internazionale dell’Italia per cui i creditori sono oggi convinti che i loro soldi torneranno a casa e che l’Italia non è più un pozzo senza fondo e tutte le agenzie internazionali hanno migliorato il giudizio sull’Italia. Per cui gli investitori globali sono pronti a scommettere impiegando capitali produttivi sull’Italia. Parliamoci chiaro: se vogliamo che questo impianto regga, ci vogliono Draghi al Quirinale ed il suo governo di unità nazionale che agisce in continuità con la politica che dimostra sul campo la capacità di assumerne la leadership condivisa e di farlo proprio.

Serve la scelta di Draghi al posto di Mattarella perché il sistema tenga in quanto un capo di governo bocciato dai partiti per il Quirinale e che non si sa neppure quanto durerebbe a Palazzo Chigi non basta più. La macchina non risponderebbe più a chi la guida e ne abbiamo già segni evidenti. Questo scenario non vuol dire il commissariamento dei partiti, ma il ritrovamento dei partiti per quello che dovrebbero essere e non lo sono più da un pezzo. Perché né Draghi né i tecnici si presenteranno alle elezioni e il dividendo politico della nuova Ricostruzione sarà tutto loro.

Berlusconi ha sempre dimostrato nei momenti topici di riconoscere e scegliere le ragioni dell’interesse generale come fece, ad esempio, nel novembre del 2011, con il suo passo indietro quando l’Italia arrivò a un passo dal default sovrano. Lo faccia anche adesso così come le leadership giovanili della nostra politica di oggi si orientino con convinzione nella stessa direzione. Fanno un grande piacere al Paese, ma lo farebbero ancora prima a loro. Perché le macerie di uno scenario alternativo travolgerebbe loro prima di tutti.


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