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Mario Draghi con Roberto Mancini e Giorgio Chiellini

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Si vince quando si valorizza quel che si ha che è una delle caratteristiche più rilevanti dell’allenatore Mancini e di Mario Draghi che ovunque è andato ha fatto quello che ha fatto Mancini. Ha fatto la sua squadra sempre con quello che ha trovato valorizzando i migliori. Ha vinto lo scudetto dell’Europa salvando l’euro.  Il primato individuale conseguito da Donnarumma ci insegna che l’errore più grande che potremmo commettere è quello di seguire i meridionalisti della cattedra o dare credito ai nuovi capipopolo. Quello che viviamo oggi è il momento di darsi una mossa, di scommettere sui propri talenti, e di darsi un’organizzazione

La nazionale dei giocatori inglesi è quotata molto di più di quella dei giocatori italiani. 

Dopo la finale di Wembley siamo tutti consapevoli che l’Italia ha vinto contro l’Inghilterra con una squadra di calciatori che in termini di mercato è valutata meno. Noi sappiamo perché e sappiamo che questo vuol dire molto per il Paese.

Punto uno. Nello sport la squadra vince quando tutti si è convinti di mirare allo stesso risultato. Si vince quando si valorizza quel che si ha che è una delle caratteristiche più rilevanti dell’allenatore della squadra che è Mancini. Il quale non ha detto: non ho questo, non ho quest’altro, ha organizzato quello che aveva, lui ha fatto con quello che ha e si è impegnato a insegnare a tutti a essere grandi. 

Chi guida l’esecutivo di unità nazionale italiano si chiama Mario Draghi. Ovunque è andato, ha fatto quello che ha fatto Mancini. Ha fatto la sua squadra sempre con quello che ha trovato valorizzando i migliori. Ha vinto lo scudetto dell’Europa salvando l’euro. Il mondo se ne è accorto e glielo riconosce. Ora deve vincere lo scudetto della Nuova Ricostruzione e della rinascita dell’Italia.

Partiamo avvantaggiati e i primi risultati si vedono. I partiti continuano a fare rumore, ma gli riconoscono l’ultima parola. La squadra di governo è motivata e funziona. Il metodo Draghi “decidere, mediare, decidere” non ha bucato un solo appuntamento con il cronoprogramma delle riforme concordato con l’Europa in sede di sottoscrizione del Recovery Plan italiano. Questa è la principale garanzia per un Paese che vuole tornare a crescere e combattere le sue profonde diseguaglianze.

Punto secondo. Il risultato della nazionale italiana riflette la consapevolezza di che cosa vuol dire essere comunità, non venti staterelli in guerra tra di loro e rivela la felicità dello spirito di squadra che non toglie nulla a nessuno e aggiunge molto a tutti. Causa Brexit che è la follia più grande commessa dal sovranismo inglese della menzogna, la nazionale italiana è diventata la nazionale europea. Anche gli scozzesi hanno tifato per l’Italia, non per l’Inghilterra.

Tre o quattro anni fa questo non sarebbe successo. Oggi avendo Draghi che ha, come detto, stampato sulla maglietta lo scudetto dell’euro, possiamo svolgere un ruolo di leadership per costruire la nuova Europa della coesione sociale, di un federalismo compiuto e di una politica di bilancio unica e espansiva. Se sapremo fare in Italia quello che ci siamo impegnati a fare, con lo stesso allenatore che fa vincere la squadra del governo di unità nazionale in casa possiamo vincere fuori la partita di un’Europa dove i sovranismi dei ricchi, dichiarati e occulti, non conteranno finalmente più nulla e dove condividere debiti e lavoro sarà la regola.

Per l’Italia questo significa vincere il secondo scudetto economico e sociale in trasferta. Significa vincere in Europa dopo avere vinto in Italia. Il cammino inverso non è possibile.

Punto terzo. Berrettini ha fatto un eccellente discorso in inglese. Ha riconosciuto il valore dell’avversario e ha espresso la sua contentezza per essere arrivato secondo a Wimbledon. Ha dimostrato consapevolezza del salto di qualità compiuto e di quello che deve ancora compiere. Ha dimostrato come grande tennista quel fair play inglese che i calciatori della squadra britannica non hanno dimostrato a Wembley.

Sono arrivati perfino a togliersi dal collo la medaglia di secondi classificati agli europei un attimo dopo averla avuta. Sono i guasti dove porta la cultura sovranista della Brexit, la menzogna del mito nazionale che insegna il miope egoismo e produce danni economici e sociali giganteschi alla sua comunità, appena coperti dal disastro Covid che ha mischiato le acque e non permette di distinguere bene gli effetti dell’errore commesso. Viceversa nella serietà dei comportamenti di Berrettini e nel suo tifo per l’Italia del pallone si vedono i segni concreti di uno spirito d’Italia nuovo che ci consente di sperare nella Nuova Ricostruzione.

Punto quarto. È il più importante. Almeno per noi. Gigio Donnarumma, da Castellammare di Stabia, è il simbolo di quello che diciamo dal primo rigo di questo articolo e in molti editoriali da molti mesi in qua. È il simbolo di chi partendo dalla posizione più indietro arriva più avanti di tutti. “E che parate…” ha detto Draghi nel cortile di Palazzo Chigi rivolgendosi a lui. Dietro il risultato di migliore giocatore del campionato europeo ci sono il valore di ascensore sociale dello sport, richiamato ieri da Draghi, e quello della coesione sociale, evocato da Draghi in tutti i suoi interventi e messo nero su bianco nelle scelte compiute con il Recovery Plan.

È più bello arrivare primo quando si parte da quindicesimo. Per misurare i passi del cammino compiuto dall’Italia con il governo di unità nazionale guidato da Draghi e reso possibile dalla lungimiranza di Mattarella, non si dovrà guardare solo il traguardo finale ma bisognerà ricordarsi il punto di partenza del cammino intrapreso. Questo vale a maggior ragione per la riunificazione delle due Italie.  Il primato individuale conseguito da Donnarumma ci insegna che l’errore più grande che potremmo commettere è quello di seguire i meridionalisti della cattedra o dare credito ai nuovi capipopolo. Quello che viviamo oggi è il momento di darsi una mossa, di scommettere sui propri talenti, e di darsi un’organizzazione. Per il Mezzogiorno questo è il momento del fare, non del declamare.


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