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Giuseppe Conte

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Non c’è un secondo da perdere per regolare i conti con gli impresentabili che impediscono di erogare la liquidità e lanciare una maxi rottamazione. Occorre subito un piano di lungo termine con pochi progetti condivisi e una macchina all’altezza per eseguire e monitorare. Invece si scelgono uomini di buon comando, la Sinistra Padronale non rinuncia alle sue trame, i 5 stelle all’assistenzialismo e l’opposizione sovranista pensa solo a infiammare gli animi

Le imprese non perdono il 40% del fatturato di prima del Coronavirus, ma fanno nei casi migliori il 40% di quello che fatturavano. Vi sembra troppo? Non vi spaventate, c’è chi sta peggio. Alberghi, ristoranti, bar e tempo libero, artigianato, commercio. Nelle sale cinematografiche neanche il 10% degli schermi ha riacceso i proiettori. Ricordo una sera a cena di qualche anno fa a la Mora, in piazza Crati, a Roma. Parlo della Grande Crisi dei subprime e del Cigno Nero italiano con il ristoratore, Mauro Del Grande, e lui mi fulmina: “Guardi, le dico la mia. 2008, 2009, 2010, parlavano di crisi, ma in questa locanda il fatturato saliva sempre; nel 2011 e nel 2012 caduta secca del 30%. Ho detto tutto”.

Sono andato a trovarlo, è stato il primo a riaprire, oggi è altrettanto lapidario: “Sono fortunato, ma quel 30% che avevo perso nel 2011 e nel 2012, è quello che mi è rimasto con qualcosina in più di ciò che avevo prima del Coronavirus. Ce la faremo anche questa volta, ma ripartiamo da qui”. Capite la differenza? Capite la differenza tra la Grande Crisi dei debiti sovrani e la Grande Depressione mondiale che, nel nostro caso, è il nuovo ’29 italiano? Ovviamente fuori da questi numeri sono i pochi settori risparmiati dalla crisi, ma questo non cambia né il mood di fondo né il quadro di insieme.

Da direttore del Sole 24 ore un po’ di tempo fa mi inventai gli Stati generali della cultura e avevo un pallino fisso: fare in modo che il Paese con il patrimonio artistico e storico più importante del mondo, cioè l’Italia, avesse con qualche decennio di ritardo un credito di imposta (art bonus) per chi fa erogazioni liberali a sostegno del nostro patrimonio culturale. Il primo anno venne il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e non successe nulla. Il secondo anno toccò al presidente del Consiglio, Enrico Letta, e non successe nulla. Al terzo anno dissi che se continuavano a riempirci di belle parole non li avremmo fatti più perché non servivano a nulla, ma quello più basso in grado, il ministro della cultura Dario Franceschini, si presentò con il decreto firmato. Ho raccontato questo episodio perché faccio fatica a credere a ciò che mi dicono persone fidate. Non riescono a fare capire oggi allo stesso Franceschini che si può riaprire il museo, cosa buona e giusta, ma che il ristorante del museo resta vuoto perché i turisti internazionali non ci sono e quelli italiani con la mascherina non hanno tanta voglia di andare al ristorante. Fanno fatica a fargli capire che i sostegni sono dovuti e che devono arrivare subito.

Il ciclo economico italiano è bloccato e la macchina pubblica non riesce a erogare gli euro compensativi per risarcire gli operatori dei danni subiti e preservare il capitale della fiducia che tutela l’attività. Il sistema economico è un sistema complesso: non basta scrivere sulla legge che la gente non può essere licenziata, perché è come dire da domani tutti i giorni c’è il sole. I fatti naturali non si governano per legge e se non c’è il lavoro non c’è il posto di lavoro e se c’è Tridico all’Inps non c’è nemmeno la cassa integrazione. Così come se non c’è reddito non si pagano le tasse, se salta l’economia lo Stato di quella economia va in bancarotta.

Capisco che può essere astruso per un professore di storia contemporanea come Roberto Gualtieri capire un concetto così elementare, ma deve almeno rendersi conto che non è il presidente del CNR ma il ministro del tesoro della Repubblica italiana. Deve pretendere dal suo direttore Rivera che depenni con un tratto di penna tutti i bizantinismi che si è inventato per non dare i soldi a chi ha subito un danno perché il rischio capitale da sventare è che questa economia chiusa per Pandemia non riapra più. Deve pretendere che la direzione del tesoro la smetta di bocciare ogni idea innovativa da chiunque provenga, non solo Cdp, e che abbia almeno la decenza di non comandarla davanti agli altri perché non va bene.

Non si può sentire che una ministra delle Infrastrutture, Paola De Micheli, che scambia le opere cantierabili con le risorse disponibili, si permetta di dire che alla Alitalia bisogna nominare Lazzerini perché è una persona di buon comando: se dobbiamo dare tre miliardi per mettere la compagnia di bandiera nelle mani di uno che prende ordini da una ministra che si “vende” 200 miliardi che non ha, siamo messi davvero male.

Soprattutto, vi sto raccontando queste cose, perché la Sinistra Padronale che si è preoccupata fin qui di aprire un canale preferenziale con i Soliti Noti impone anche l’inchino a Colao che si è fatto prendere la mano dagli avvocati e non ha resistito alla tentazione di sfornare oltre cento pagine di idee contro le due cartelline dei tecnici della Merkel dove si abbassa l’Iva, si incentivano i consumi, si danno soldi veri all’istante praticamente a tutti. Non basta. La Sinistra Padronale che ha imposto l’inchino alla letteratura economica che non è il genere più richiesto oggi, è la stessa che non ha perdonato al Presidente Conte di avere annunciato gli Stati generali dell’economia senza preavvertirla e ha voluto imporre tempi lunghi con un calendario di liturgie di altri tempi. Vogliamo essere molto chiari, come sempre. Gli Stati generali dell’economia hanno un senso, per questo li abbiamo proposti, se servono a definire un Progetto Paese di lungo termine con pochi progetti condivisi e una macchina pubblica all’altezza che consenta di monitorare l’esecuzione e di rispettare gli impegni assunti. La cassa europea che già c’è e resta inutilizzata e quella che l’Europa appare intenzionata a dare, non sono mai gratis.

Non c’è un secondo da perdere, da un lato, per regolare i conti con gli impresentabili che impediscono di erogare la liquidità e lanciare una maxi rottamazione e, dall’altro, per definire un piano in quattro cinque punti massimo – amministrazione, infrastrutture, digitale, sanità, scuola – da attuare con progetti chiari e riconoscibili secondo i tempi che ci si è dati uscendo di fretta da un ventennio di immobilismo. Se ciò non avviene, per un Paese già messo molto male come il nostro prima della Pandemia, non resta che il commissariamento della Troika per gestire al meglio l’uscita dal novero dei Paesi industrializzati. L’opposizione sovranista che diserta gli Stati generali e continua a infiammare gli animi, le trame di potere di una Sinistra Padronale fuori dal mondo, e i disegni assistenzialisti di corto respiro di un movimento frantumato come quello dei cinque stelle lavorano per la Troika. Non sappiamo se ne siano consapevoli, ma non è rilevante. Il risultato finale non cambia.


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