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Il ministro dell'Economia Daniele Franco

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Il ministro dell’economia Daniele Franco ha indicato il Mezzogiorno come la prima delle disparità con cui il Recovery Plan italiano si deve misurare. La ministra per il Sud, Mara Carfagna, ha dato i numeri della nuova coerenza meridionalista che riguarderà il 50% degli investimenti del nuovo Piano e, soprattutto, ha indicato un nuovo metodo che riguarderà tutti i fondi europei. Un punto decisivo è una pubblica amministrazione che fa buoni progetti e sa attuarli. Siamo favorevolissimi all’assunzione di una nuova leva qualificata da inserire nei ranghi della amministrazione centrale e territoriale. Anche se la scelta del ministro Brunetta di dare un aumento indistinto a tutti i dipendenti pubblici statali e territoriali, anche a chi tira i remi in barca, è un brutto segnale per i giovani bravi che si andrà ad assumere e uno schiaffo che fa male ai tanti lavoratori privati che non sanno se avranno ancora un lavoro

Avevamo messo in guardia tutti. Attenzione: smettetela di usare la nostra banca dati sulla sperequazione della spesa territoriale sociale e di sviluppo per continuare a urlare, finitela di disquisire sulla carta di identità dei singoli ministri e di fabbricare manifesti di cartone, perché la battaglia culturale dei numeri dell’operazione verità lanciata da questo giornale in assoluta solitudine e in tempi non sospetti è vinta.

Fa parte ormai del patrimonio condiviso del Paese, nessuno discute le grandezze e le cause di questa evidentissima, iniqua disparità. La consapevolezza del problema che tocca i diritti delle persone e le prospettive di sviluppo di una comunità di venti milioni di donne e uomini è entrata nella coscienza collettiva liberata da spiriti divisivi.

Soprattutto, abbiamo messo in guardia tutti perché c’è l’opportunità concreta che il frutto maturo di quella battaglia cada giù dall’albero dei fondi europei nei territori meridionali e c’è il rischio concreto di farci trovare impreparati e come sempre impegnati a litigare. Quasi che non ci credessimo più. Viceversa, ripetiamo, c’è l’opportunità concreta che questi che sono al Governo facciano per una volta sul serio e che la coerenza meridionalista tanto invocata da questo giornale diventi realtà e possa essere la cifra di un progetto organico di sviluppo non di una parte ma dell’intero Paese.

 La prima evidenza indiscutibile si è avuta con l’audizione del ministro dell’Economia Daniele Franco, dove il Mezzogiorno è stato indicato esplicitamente come la prima delle tre disparità con cui il Recovery Plan italiano si deve misurare per “accrescere il potenziale di sviluppo del Paese”. Le altre due disparità sono i giovani e di genere per cui è davvero difficile negare che in entrambe queste nuove disparità la quota preponderante del problema appartenga al Mezzogiorno. Così come molto chiaro è stato sempre Franco nel sottolineare che i programmi finanziati possono contribuire a accrescere il potenziale di sviluppo del Paese e devono farlo muovendosi lungo le tre direttrici strategiche indicate dalla Commissione che sono la digitalizzazione, la transizione ecologica e l’inclusione sociale.

La ministra per il Sud e la coesione territoriale, Mara Carfagna, ha dato ieri in Parlamento i numeri di questa coerenza meridionalista con meticolosa precisione e, soprattutto, ha indicato un metodo di lavoro che ai nostri occhi appare convincente. Ha detto che riguarderà  il Mezzogiorno il 50% degli investimenti del nuovo Piano tra opere ferroviarie, manutenzione stradale, porti e digitalizzazione dei sistemi logistici e degli aeroporti. Ha parlato con dettaglio di transizione ecologica alla voce agricola (48% al Sud) e trasporto  urbano sostenibile (50%) e così via per le altre macrovoci.

Quello che ci è piaciuto è che il Mezzogiorno è un obiettivo trasversale  di tutti i programmi e dovrà essere un luogo fisico dove sarà più facile e conveniente investire. Proprio quello che abbiamo sempre chiesto. Emerge un metodo nuovo che dovrà riguardare anche tutti i piani europei del fondo di coesione e sviluppo e che ha nella capacità ex ante di programmare gli interventi e in quella attuativa di realizzarli nei tempi prestabiliti il suo segno distintivo.

Non ci colpisce insomma l’annuncio dei cento miliardi al Sud perché di questi annunci è piena la storia del Mezzogiorno anche recente e non è una storia nobile. Ci piace invece la consapevolezza responsabile  dei diritti negati (20 euro di spesa sociale pro capite l’anno ai calabresi contro i 325 euro della provincia autonoma di Bolzano) e quella matura dei doveri che devono entrambe accompagnare la rivoluzione civile, economica e sociale necessarie per riunire le due Italie. C’è un punto che viene prima di tutti e riguarda la pubblica amministrazione. Siamo favorevolissimi all’assunzione di una nuova leva qualificata da inserire nei ranghi della amministrazione centrale e territoriale. La capacità di fare buoni  progetti e di portarli a compimento, soprattutto al Sud, passa da qui. Guai se ciò non accadesse in tempi strettissimi. Anche se tutto ciò non ci impedisce di osservare che la scelta del ministro Brunetta di dare un aumento consistente indistinto a tutti i dipendenti pubblici statali e territoriali, a chi è in prima fila e a chi tira i remi in barca, non è proprio un bel segnale.

Noi abbiamo bisogno di una leva nuova che non venga per un anno nella pubblica amministrazione e poi vada via. Abbiamo bisogno di nuovi profili e abbiamo l’obbligo morale e la convenienza economica di assicurare loro una prospettiva di carriera duratura che restituisca al Paese una classe amministrativa capace di produrre servizi in modo efficiente. La filosofia del pubblico va completamente ribaltata e non aiuta certo quell’aumento di 107euro senza nemmeno una componente variabile e per tutti i tre anni di modo che scattano anche gli arretrati e gli aumenti automatici ancora più  onerosi di tutte le categorie collegate ai contratti pubblici.

Non sarebbe stato un bel gesto se i sindacati e i lavoratori pubblici, esclusi quelli della sanità, avessero regalato gli aumenti delle due annualità pregresse ai lavoratori privati in cassa integrazione a seconda dei casi con 800/900 euro al mese se non addirittura 400/500? Quell’aumento indistinto è un brutto segnale per i giovani bravi che si andrà ad assumere e uno schiaffo che fa male ai tanti lavoratori privati che non sanno se avranno ancora un lavoro. Il Mezzogiorno oggi deve pretendere la sua Centrale di progettazione e una squadra territoriale all’altezza della sfida. Passa di qui l’attuazione della coerenza meridionalista del Recovery Plan. E su questo vigileremo senza sconti perché il futuro ha bisogno oggi, non domani, di ritrovare il merito e di un ambiente pubblico rinnovato che esca dalla palude dove tutti sono uguali e tutti sono pagati allo stesso modo. Non si esce in questo modo dal nuovo ’29 mondiale italiano.


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