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Prende corpo un grande accordo globale per la tutela dell’ambiente che prevede un ruolo più rilevante del Wto e una serie di interventi che variano dall’economia reale alla sanità fino al fisco e alla finanza che cumulati possono determinare un nuovo corso globale e una nuova governance di un mondo reso così più sostenibile, aperto, e impegnato a misurarsi in modo effettivo con le sue fragilità. La prima delle quali è proprio quella ambientale

Europeismo, atlantismo, multilateralismo. Ruota intorno a queste tre parole che assomigliano a uno scioglilingua la grande partita del post pandemia che dovrebbe portare il mondo a dotarsi finalmente di una nuova Bretton Woods.

Che ci sia urgente bisogno di una governance globale all’altezza dopo il nuovo ’29 mondiale è cosa chiara a tutti. Che ruoti intorno al triangolo Stati Uniti-Europa-Asia dove alleanze politiche e interessi economici si mescolano a volte confusamente, è pacifico. Così come è altrettanto pacifica l’esigenza di cominciarsi a porre seriamente il problema della stabilizzazione mediorientale e libica e di dare risposte concrete a Africa e India.

Avere recuperato un’idea compiuta di multilateralismo è per la piccola Italia un passo avanti strategico essendo uno dei grandi Paesi esportatori globali. Avere alla guida dell’Italia l’uomo che ha salvato l’euro e che è nei fatti l’interlocutore privilegiato di Biden in Europa nella ricostruzione della nuova grande alleanza occidentale dopo la stagione del trumpismo e dei suoi nipotini nel mondo, è di sicuro un punto di forza.

Come lo è il ruolo riconosciuto che Draghi pure esercita nella determinazione delle politiche economiche europee espansive e di coesione sociale e di tutela ambientale.

Quest’anno di presidenza italiana del G 20 appare a tutti per una serie di ragioni concomitanti come l’occasione giusta perché il multilateralismo ritrovi la sua governance. Possiamo dire che si discute come è giusto di un rafforzamento dei ruoli dell’Organizzazione mondiale della sanità, del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale, e si esaminano per questo aree di intervento e poteri.

A nostro avviso, per le notizie di cui siamo in possesso, la cosa più probabile è però un grande accordo globale per la tutela dell’ambiente che ruoti intorno al ruolo del Wto e a una serie di interventi che variano dall’economia reale alla sanità fino al fisco e alla finanza che cumulati possono determinare un nuovo corso globale e una nuova governance di un mondo reso così più sostenibile, aperto, e impegnato a misurarsi con le sue fragilità. La prima delle quali è proprio quella ambientale.

Qui, di seguito, nel giorno della conclusione dei lavori del G7 dedicati proprio ai temi ambientali un taccuino in più punti che riguarda le scelte dei principali soggetti internazionali e i singoli progetti di intervento che si presume avranno il loro compimento nella sessione di ottobre a Roma che è quella conclusiva dell’anno di presidenza del G 20 italiano.

Punto uno. Il nuovo ruolo degli Stati Uniti sullo scacchiere mondiale

Sappiamo che c’è un’apertura molto forte nei confronti dei Paesi occidentali in chiave anti Cina. Invece di andare da soli con sanzioni e protezionismi gli americani lo vorrebbero fare un po’ come si faceva dieci anni fa. Gli Stati Uniti sono molto impegnati all’interno nella parte economica con una fortissima pressione per modernizzare le infrastrutture e portare avanti un piano molto importante anti ciclico che assomiglia molto a quello che noi chiamiamo sussidi.

Si muovono su due grandi progetti: uno redistributivo e uno di infrastrutture con un parallelo forte impegno dal lato delle entrate. Che è, tuttavia, sottoposto all’incertezza dell’esito dell’esame del Congresso.

Per essere sicuri che il Piano passi nella sua interezza dovranno fare le cose in fretta, al massimo entro un anno, e dovranno fare i conti con un problema di voti al senato dove si ritrovano con una maggioranza ridotta. Non è detto che Biden e la Yellen ce la faranno, perlomeno in toto, ci provano con determinazione. C’è l’esigenza di dare una risposta più positiva ai ceti medi appiattiti e impoveriti addirittura in termini assoluti negli ultimi dieci anni e c’è l’obiettivo di migliorare la base delle infrastrutture che hanno forte concentrazione nelle multinazionali americane con le quali si gioca la partita mondiale.

Tutto ormai è diventato informazione e questo è alla base della imposta minima sulle società al 15% del G 20 e di come estenderla anche a una più generale imposta sul web solo in parte coperta dalla imposizione minima. Tutto questo ovviamente si scontra con una serie di difficoltà. Dove sono allocate queste società? Dove generano profitto? Come e a quali condizioni ridurne l’influenza?

Punto secondo. Il ruolo della diplomazia internazionale e l’importanza del World trade organization (Wto)

Il ruolo della diplomazia internazionale e l’importanza del World trade organization (Wto) che è l’organizzazione mondiale del commercio e vigila sul rispetto delle regole del commercio globale. La diplomazia è come tale, direi per caratteri costitutivi, molto opaca anche se c’è a livello europeo un approccio con la Cina meno conflittuale di quello americano avendo confidato negli anni in una maggiore vigilanza sulla sicurezza e in un riconoscimento reciproco dello Stato di diritto.

Con interessi mercantili tedeschi molto forti e ben coperti e, nel caso dell’Italia, con alle spalle la stagione del primo governo Conte che ha aperto con tutti i crismi alla via della seta cinese assumendo agli occhi del mondo un ruolo pubblico nelle alleanze italiane a fronte di interessi economici comuni ancora limitati. Potremmo dire con un atteggiamento inversamente a specchio del governo tedesco.

Al di là della propaganda tutti i Paesi europei continueranno a fare la loro politica commerciale con la Cina e con l’Asia, ma qualcosa con la nuova amministrazione americana e il cambio di attenzione sulle altre questioni democratiche che Draghi imprimerà al governo italiano e di cui è garante per l’Europa con Biden di sicuro cambierà. Sarà una cooperazione effettiva sui temi climatici e sulla ricostruzione del nuovo mondo con la franchezza di dire anche quello che finora si è detto poco.

L’impressione prevalente è che proprio con la spinta di questa nuova amministrazione americana il Wto avrà un ruolo più rilevante. Trump nemmeno gli dava ascolto. Oggi chi dirige il Wto è Ngozi Okonjo-Iweala, una figura molto aperta all’America, è una donna di ferro nigeriana più volte ministro nel suo Paese che ha vissuto e lavorato a lungo negli Stati Uniti ed è molto rispettata nel mondo.

L’unica area dove c’è abbastanza condivisione per fare cose nuove e farle insieme è quella ambientale. La parola chiave è lotta al cambiamento climatico. Se al G7 come al G 20 si fanno i conti con i lavori di una rivisitazione dell’intera materia fatta da un gruppo speciale permanente copresieduto da americani e cinesi, è indubbiamente un risultato politico importante ma è anche il riflesso dell’interesse comune delle due principali economie mondiali che sono anche i due principali inquinatori della terra.

La preoccupazione globale è invece legata alla diffidenza nei confronti della disponibilità di informazioni su sicurezza, informatica, concorrenza da parte della Cina. Anche nell’atteggiamento del mondo occidentale diretto a ridurre i debiti o spostarne nel tempo l’esigibilità verso i Paesi più fragili, c’è la diffidenza nei confronti dei cinesi che hanno prestato un sacco di soldi ai Paesi africani per conquistare in quei territori un’influenza che prima era dei Paesi occidentali puntando proprio sull’arretratezza nei campi delle nuove tecnologie digitali. Come se ne esce? Chi avrà in mano le redini del mondo nuovo sostenibile e della tecnologia che lo accompagna?

Terzo punto. L’accordo possibile sulla tutela ambientale e le sue declinazioni.

Questo è il risultato concreto più probabile e riguarderà il G 20 e la copresidenza di Coop26. Arriverà a ottobre nella sessione finale dell’anno di presidenza italiana del G 20, la tappa intermedia di luglio a Venezia non vedrà la partecipazione della rappresentanza cinese in presenza. L’ambizione è che sia un accordo cruciale che vada oltre quelli di Kyoto del 1997 e di Parigi del 2016.

Sono tutti d’accordo nel raggiungere il livello di emissioni nette pari a zero per cui se aumentano di dieci le produzioni ci vogliono “tante foreste” per assorbirle. Perché l’obiettivo netto pari a zero da qui al 2045/50 non è negoziabile in quanto se sale la temperatura più di un grado e mezzo sono problemi seri. Si prevedono nuovi strumenti di regolazione per cui non si producono più macchine che inquinano con il diesel, è proibito usare questo e quello dettagliatamente.

Scattano altre tassazioni con un prezzo per ogni tonnellata di co2 , rincari fiscali sull’energia vecchia, forte incentivazione per le imprese che investono sull’energia nuova e si riorganizzano. Un’altra strada ipotizzata è chiedere a tutte le imprese di fare delle stime su quello che emettono con la loro attività produttiva in modo da fermare o ridurre le emissioni con decisioni drastiche accompagnate da incentivazioni mirate. In casa nostra la Banca d’Italia, ad esempio, le ha già ridotte del 70% nel periodo 2010/2019 pressoché non usando più la carta e cambiando il modello di organizzazione.

Tutte le imprese saranno obbligate a scrivere nel bilancio quanto emettono tenendo conto degli stress test e operando di anno in anno per ridurre i rischi fisici di catastrofe. Certamente le piccole e medie imprese dovranno affrontare i costi della transizione e si troveranno a dover pagare molto di più per rispettare gli standard imposti dal governo per raggiungere l’obiettivo di emissioni nulle.

Su questo non si scherza perché le piccole imprese rischiano di avere un’altra ragione in più per saltare per aria e, quindi, le banche ne devono preventivamente tenere conto. Bisogna fare non solo comunicazione per le piccole imprese nell’accesso al credito di favore, ma poi fare in modo che questo accesso al credito ci sia realmente. Perché ci sono di sicuro più costi di produzione e non si può nemmeno immaginare che le imprese possano chiudere a causa di scelte innovative peraltro giustamente imposte.

Qui si capisce bene quanto la transizione abbia una componente più attenta alle condizioni ambientali che richiede la massima attenzione nella componente finanziaria. Che cosa possono fare le banche centrali? Molto. Perché se vogliono che si dia il massimo possibile per non comprare più titoli emessi da paesi che inquinano, devono a loro volta favorire una organizzazione snella capace di rendere molto attraenti i Paesi che offrono green bond.

Lo Stato italiano ne ha emessi di recente registrando sul mercato una domanda 10 volte superiore all’offerta. Siamo a un’offerta e a una domanda che riguardano particolari progetti di emissioni a dimensione ancora piccolissima, ma si può fare molto di più. Questo processo va guidato per la valutazione del rischio dalle banche centrali con la stessa attenzione riservata alla politica monetaria espansiva dalla Bce che, peraltro, già acquista questi titoli per tenerne sotto controllo l’offerta e pilotare correttamente la scelta monetaria accomodante.

Analoga attenzione va riservata al trasferimento che sicuramente molti proveranno a fare dei maggiori costi di produzione sui costi dei prodotti e di quanto ciò potrà abbattere il reddito medio. Questo tipo di speculazione va bloccato. Se si passa dal cavallo all’auto come mezzo di trasporto bisogna percorrere strade nuove e bisogna farlo prima che il processo si completi in una pericolosissima autogestione. Questa almeno è la lezione della storia.


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