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Ursula von Der Leyen e Mario Draghi

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Oggi c’è fiducia, ci sono i soldi pubblici europei e italiani e molti più soldi privati nazionali e internazionali sono attivabili. Ci sono tutte le condizioni per fare tutto questo e siamo davanti a un sistema che si regge sulla reputazione di Draghi. Se per il Sud facciamo un piano di investimenti seri, e lo abbiamo fatto, e soprattutto se dimostriamo di saperlo attuare, questo diventa un elemento decisivo per l’aumento della redditività delle imprese meridionali e del potere di acquisto delle famiglie del Mezzogiorno, ma rappresenta allo stesso tempo un elemento determinante perché si ricostituisca in casa un mercato importante per i prodotti del Nord

Le riforme si fanno quando si cresce, non viceversa. Quando i tassi sono favorevoli. Quando l’ammortizzatore monetario aiuta la realizzazione dei cambiamenti strutturali. Quando i flussi finanziari attivati in parte a titolo gratuito in parte a condizioni di favore sono disponibili per fare buona spesa pubblica. Quando la grande incompiuta europea decide per la prima volta di imboccare al bivio del nuovo ’29 mondiale non la strada del rigore e dell’equilibrio impossibile dei conti, ma quella del sostegno al reddito, degli investimenti produttivi e, quindi, dello sviluppo.

Se non si facesse così l’Italia farebbe la fine che ha fatto con il povero Monti, che ci salvò certo con la riforma delle pensioni e con la patrimoniale dal crack sovrano senza che nessuno gli dica grazie, ma fu costretto a iniettare in eccesso dosi di austerità che hanno fatto male al Paese in quella stagione e dopo. Se si dovesse fare oggi qualcosa di simile si avrebbe un effetto slavina da cui non ci potremmo più riprendere. Allora, parliamoci chiaro, se per il Sud facciamo un piano di investimenti seri, e lo abbiamo fatto, e soprattutto se dimostriamo di saperlo attuare, questo diventa un elemento decisivo per l’aumento della redditività delle imprese meridionali e del potere di acquisto delle famiglie del Mezzogiorno, ma rappresenta allo stesso tempo un elemento determinante perché si ricostituisca in casa un mercato importante per i prodotti del Nord.

Questo è l’unico circolo virtuoso possibile per fare uscire l’Italia dal morso del nuovo ’29 mondiale e, cosa ancora più rilevante, per acquisire finalmente un assetto competitivo nazionale che permetta di regolare una volta per tutte i conti con il ritardo strutturale italiano che è un misto di miopi egoismi nordisti e di debolezze rassegnate meridionali dentro un sistema burocratico-giudiziario malato che impedisce di fare le cose e alimenta il comune circolo vizioso clientelare.

Sconcerta, da questo punto di vista, l’inseguimento per motivi elettorali dei Cinque stelle e del loro nuovo leader di un modello di azione capovolto dove si ripete che la ripresa del Nord può trainare anche il Sud quando viceversa è il secondo motore che deve affiancare il primo per fare ripartire davvero l’Italia come dimostra in modo documentale la storia ventennale di crescita zero del Paese. Se si persistesse in tale atteggiamento culturale che esprime la dottrina economica del federalismo della irresponsabilità e, soprattutto, se si proseguisse sulla strada delle errate azioni conseguenti, l’unico risultato certo sarebbe la progressiva “meridionalizzazione” dell’intero Paese, intesa come perdita generalizzata di competitività del sistema Italia.

Il Piano italiano del Recovery è fatto bene, dobbiamo riuscire a eseguirlo bene. Non può essere tutto fatto da un presidente del consiglio o da un ministro dell’Economia. Deve essere tutto il Paese a fare il Recovery Plan, deve volerlo e deve farlo. Oggi c’è fiducia, ci sono i soldi pubblici europei e italiani e molti più soldi privati nazionali e internazionali sono attivabili. Ci sono tutte le condizioni per fare tutto questo e siamo davanti a un sistema che si regge sulla reputazione di Draghi.

Se lui esce dal palcoscenico, la fiducia del mondo nel Paese crollerebbe. Siamo davanti a un Presidente del Consiglio che non fa feste, che non fa sfoggi di potere, che non sistema gli amici degli amici, che non ha faccendieri che gli bazzicano intorno. Che non si sottrae mai anche quando la trappola politica è in agguato. Per cui può dire che il reddito di cittadinanza va benissimo, ma va riformato senza produrre reazioni avverse. Non perde mai il contatto con la realtà.

Nell’immaginario collettivo conta anche questo per valutare le performance di un governo. Perché si percepisce lo sforzo di un Presidente del Consiglio che non vuole stare sempre in tv ma vuole fare le cose, preferisce agire piuttosto che apparire. Per cui chi stava prima di lui favoleggiava di ogni tipo di intervento nel Mezzogiorno ma alla fine c’era solo una presunta fiscalità di vantaggio finanziata neppure si sa da chi, mentre oggi ci sono impegni certi e strategici in termini percentuali e dimensionali che non sono stati mai raggiunti neppure nel decennio d’oro del miracolo economico del Dopoguerra.

Siamo passati dalla prima bozza di Palazzo Chigi di Recovery Plan che era un libro di sogni scritto anche male a qualcosa di molto concreto e ben graduato rispetto all’obiettivo principe che è quello di ridurre la disparità territoriale. Anche la gente sembra avere più fiducia, si coglie un’attitudine positiva generalizzata. Se andiamo a sbattere adesso, lo avremo voluto solo noi. Questa volta l’Europa non c’entra proprio niente.

Può succedere di andare a sbattere solo se, da un lato, gli amministratori del Mezzogiorno non capiscono la portata storica dell’ultima occasione possibile, non si organizzano in modo adeguato e continuano a lamentarsi e non chiedono ciò di cui hanno bisogno e, dall’altro, se gli uomini di prima delle burocrazie amministrative e di tutte le magistrature e le authority italiane non cambiano registro. Di questo passaggio decisivo parliamo domani. Perché l’imbuto della nuova Italia è questo.

2) continua

LEGGI LA PRIMA PARTE DELLE RIFLESSIONI FERRAGOSTANE


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