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LE METASTASI di un Paese malato hanno risalito l’Italia. Gli arresti a Torino e lo scandalo della Regione Valle d’Aosta mettono a nudo la gravità della situazione. Per chi legge questo giornale nulla di inaspettato. Sono mesi che raccontiamo la mole impressionante di spesa pubblica sottratta al Mezzogiorno per la spesa sociale e per le infrastrutture di sviluppo – tutto ciò che serve per migliorare il tessuto civile e la competitività dei territori – regalata improvvidamente al Nord per alimentare un flusso abnorme di spesa pubblica allegra, spesso clientelare. A volte, peggio: addirittura manifestamente non immune da infiltrazioni della criminalità organizzata e dall’inquinamento della politica e delle imprese. Che hanno entrambe nella cassa “rubata” al Sud il loro cemento di malaffare che significa occupazione di spazi sempre più larghi dell’economia, dal movimento terra allo smaltimento dei rifiuti, alimentati proprio da quella medesima spesa pubblica sovrabbondante.

Questo circuito perverso ha rubato l’Italia agli italiani e ha condannato Nord e Sud del Paese a una progressiva marginalizzazione. È sparita la grande industria nazionale. Si è teorizzata e beatificata l’interdipendenza produttiva tra Nord Italia e Nord Europa riducendo le imprese brianzole-veneto-emiliane a appendice meridionale della grande industria tedesca. Si è isolato geograficamente l’intero Mezzogiorno privandolo di treni veloci e di un contesto ambientale favorevole consegnando territori e comunità al degrado e al ricatto della criminalità organizzata.

Per fortuna, non esiste solo il Paese malato. Al Nord come al Sud sopravvivono pezzi di impresa che sanno che cosa è il mercato e lottano contro tutto e contro tutti, ancorché di taglia media-piccola. Abbiamo public company che sono l’eredità positiva dello Stato imprenditore e ancora valgono nel mondo, dobbiamo credere in società di capitale pubblico di mercato con una visione industriale di lungo termine. Produciamo energie positive e intelligenze giovanili dove meno te lo aspetti anche se continuiamo a regalarle troppo spesso al mondo. Ce ne è abbastanza per capire che una delle regole della globalizzazione è la scala dimensionale delle imprese e che solo ritornando a ragionare con i campioni nazionali e una integrazione reale tra Nord e Sud potremo dire la nostra. Ce ne è abbastanza per capire che il grasso assistenziale di spesa pubblica che sta inquinando il Nord deve diventare capitale infrastrutturale esigibile del Mezzogiorno non dal 2026, forse, ma da oggi con cantieri aperti subito e tempi certi di esecuzione super-ristretti.

È questo il vero, unico, interesse del Nord. Ricostituire il suo mercato interno. Se non si è grandi in casa, fuori ti mangiano.


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