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Il premier Giuseppe Conte

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Non si tratta di dare al Mezzogiorno contentini o pacchetti di aiuti che peraltro verrebbero respinti al mittente dai funzionari europei. Si tratta di affermare una volta per tutte che nelle missioni in parte vincolate in parte scelte del Next Generation Eu italiano la priorità è il Mezzogiorno. Come l’Europa fa debito comune europeo per la prima volta è importante che dopo vent’anni per la prima volta l’Italia esca dal circuito perverso dei venti staterelli chiamati Regioni e dal miope egoismo che ha ispirato questa lunghissima stagione di decadenza

Sulla scrivania di Giuseppe Conte c’è la lettera con in calce la firma dei presidenti delle Regioni Campania, Puglia, Molise, Abruzzo, Basilicata e Sicilia. Per concomitanti impegni non hanno partecipato all’incontro e alla stesura della lettera i presidenti di Calabria e Sardegna e, nel momento in cui questo giornale va in macchina, non hanno mai neppure aperto il whatsapp con cui venivano informati dell’iniziativa e invitati a sottoscriverla.

Le ragioni dell’assenza sono valide e non sono emerse preventivamente prese di distanza, nulla esclude che aderiranno. Resta il fatto che queste firme al momento non ci sono e che si tratta degli unici due presidenti leghisti di Regioni del Mezzogiorno. Il contenuto della lettera rispetta le aspettative.

Si chiede un incontro urgente al Presidente del Consiglio, di cui si riconosce il buon lavoro in Europa, perché la presunta ripartizione delle risorse del piano italiano Next Generation Eu rispetta il solo criterio della popolazione e non quelli invece decisivi dei tassi di disoccupazione e di inversione del Pil che sono poi i criteri che esprimono l’arretratezza del Mezzogiorno e che sono alla base dell’assegnazione all’Italia della quota maggioritaria del nuovo fondo finanziato per la prima volta con debito comune europeo. Si tratta di 209 miliardi di cui 65,4 a fondo perduto.

Noi sosterremo questa iniziativa a patto che non si traduca nella richiesta di un assegno. La partita si gioca sulla capacità di fare progetti seri e sulla capacità di metterli in esecuzione nei tempi preventivati. Per superare le condizionalità europee l’intero Paese deve scommettere su un disegno di riunificazione delle due Italie e deve dotarsi di strutture tecniche adeguate. Non sarà questo Aventino delle Regioni meridionali a risolvere il problema.

Soprattutto non potrà risultare efficace se non si accompagnerà a un’operazione verità all’interno della Conferenza Stato-Regioni che consenta di realizzare compiutamente la legge Calderoli sul federalismo fiscale e ponga mano al non più eludibile riequilibrio della spesa sociale e infrastrutturale tra Regioni del Nord e Regioni del Sud.

Questa iniziativa dei presidenti delle Regioni meridionali può essere importante a patto che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, la faccia propria all’interno di un progetto Paese. Bisogna che vada in Parlamento e chieda la fiducia su un disegno di attuazione del nuovo piano Marshall che ripercorra oggi in atti concludenti la coerenza meridionalista che fu del trentino De Gasperi negli anni del Dopoguerra.

Non si tratta di dare al Mezzogiorno contentini o pacchetti di aiuti che peraltro verrebbero respinti al mittente dai funzionari europei.

Si tratta di affermare una volta per tutte che nelle missioni in parte vincolate, in parte scelte del Next Generation Eu italiano la priorità è il Mezzogiorno. Questo vale per il digitale, a partire dalla banda larga ultraveloce, come per la transizione ambientale, a partire da una rete di alta velocità e capacità ferroviarie che colleghi finalmente i territori meridionali al resto del Paese.

Bisogna avere il coraggio di investire su un grande piano logistico che coinvolga la rete portuale meridionale aprendo all’Italia la strada per recuperare la leadership nel Mediterraneo e restituire all’Europa il ruolo geopolitico che le spetta in questa area cruciale per gli equilibri del mondo.

Questo investimento strategico per il Paese avrà successo se sarà affiancato da un investimento di pari rilevanza di Industria/Impresa 4.0 che sostenga il processo di innovazione della parte produttiva più competitiva del Paese. Anche qui non si tratta di finanziare l’acquisto di carrelli e di montacarichi ma di scommettere su tutto ciò che può aumentare la produttività.

Se le piccole imprese manifatturiere non accettano l’idea di fondersi e di crescere si pongono fuori dalla produttività futura e non meritano quindi di essere finanziate. Così come non ha senso continuare a bruciare risorse per piccole opere nel Mezzogiorno. Il Paese ha l’occasione per ritrovarsi. Deve farlo partendo dal capitale umano e dai banchi di scuola fino all’Università.

Come l’Europa per la prima volta fa debito comune europeo, è importante che dopo venti anni per la prima volta l’Italia esca dal circuito perverso dei venti staterelli chiamati Regioni e dal miope egoismo che ha ispirato questa lunghissima stagione. Non c’è altra via per recuperare la strada della produttività e provare a domare il mostro del nuovo ’29 mondiale. Chi governa questo Paese ha la responsabilità di compiere questa scelta e di ottenere su di essa il massimo della condivisione possibile.


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