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La conferenza Stato Regioni

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Si sono presi la cassa degli italiani, fanno pasticci di ogni tipo, ma non parlano mai dello squilibrio impressionante di investimenti pubblici che esiste da anni nella distribuzione della spesa sociale tra le regioni del Nord e il Mezzogiorno. Nessuno si permette di chiedere conto di questo pesantissimo conflitto di interessi e loro, senza vergognarsi, pensano che Conte debba chiamare Regioni ed enti locali per decidere insieme chi fa cosa. E poi concordare insieme quali strumenti normativi attivare affinché ciascun soggetto attuatore possa realmente impegnare in tre anni le risorse assegnate dall’Europa. Oppure debba semplicemente andarsene. Perché è giusto? No, perché comandano loro

Siamo il Paese Arlecchino con venti capi di Stato ombra che sono i padroni assoluti dei loro territori regionali. Si sono presi la cassa degli italiani, fanno pasticci di ogni tipo, hanno infilato le loro unghie fameliche in ogni torta spartitoria di primari, direttori di ASL, infermiere e infermieri con un esercito di amiche e amici degli amici mai visto prima.

Si sono coperti di ridicolo dal primo giorno della pandemia non essendo mai d’accordo su nulla e litigando a giorni alterni con se stessi e con il governo senza perdere un millimetro di altezzosità. Sono riusciti a fare sparire anche l’idea identitaria dell’Italia come comunità.

I capi delle Regioni della Sinistra Padronale tosco-emiliana e della Destra lombardo-veneta a trazione leghista hanno fatto di più. Si sono impossessati delle chiavi della cassaforte pubblica e rischiano di fare uscire l’Italia dal novero delle grandi economie industrializzate nel silenzio complice di tutti.

Siamo arrivati alla pretesa dei medesimi Lorsignori, con le parole del loro Capo Supremo Bonaccini dalle colonne del Corriere della Sera, di un “Presidente del Consiglio Arlecchino” servitore non di due ma di tanti padroni a partire ovviamente da loro. Oppure con le parole del Doge veneto, Zaia, dalle colonne di Repubblica, alla pretesa di sfrattare l’“inquilino Arlecchino” di Palazzo Chigi.

Questo protagonismo di “governatori” alla Bonaccini o alla Zaia che vogliono Conte come cameriere a chiamata per portare in tavola il loro menu o, in generale, come esecutore lui o un suo sostituto dei loro desiderata, si aggiunge alla lunga lista di Capi della politica che vogliono che Conte resti lì solo se è disposto a prendere ordini da Zingaretti, Di Maio (Crimi non conta) e Renzi eseguendo a comando il verbale delle loro decisioni tra di loro peraltro non componibili.

Che deve fare Conte sulla governance del Recovery? Chiede l’intervistatore al Capo di Stato ombra della Repubblica delle Regioni, Bonaccini, e lui che fa? Si schermisce? Chiede scusa per avere strappato dal bilancio pubblico italiano (rapporto 2019 della finanza pubblica della Corte dei Conti) 84,4 euro di investimenti pro capite per ogni cittadino emiliano-romagnolo (media 2000-2017) contro i poco più di venti per ogni cittadino campano e i circa 16 per ogni cittadino calabrese? Rende pubblicamente conto delle inconfessabili ragioni che non gli hanno mai permesso di chiedere al governo di varare i fondi di perequazione sociale e infrastrutturale previsti dalla legge Calderoli del federalismo fiscale su sanità, scuola, mobilità? Ha qualcosa da dire a sua scusante su questo evidentissimo conflitto di interessi perché nessun Paese al mondo tratta i suoi cittadini in modo così discriminatorio a seconda se appartieni a una regione o a un’altra?
Ma siete pazzi? Che cosa vi passa per la testa?

Credete che ci sia un solo reggi microfono dei più rinomati talk televisivi italiani che sia disposto a fare a lui Bonaccini o al Doge veneto Zaia (che nella stessa classifica porta a casa 61,3 euro pro capite che è sempre il triplo di quanto riceve un cittadino campano) questa domanda? Per carità, aprire il vaso di Pandora di uno squilibrio impressionante nella distribuzione degli investimenti pubblici della spesa sociale e, ancora di più, infrastrutturale potrebbe aiutare a capire le ragioni del declino del Nord e salvare così l’Italia.

Potrebbe aiutare a riscoprire l’idea smarrita di nazione che non si fa la guerra tra Nord e Sud ma valorizza i suoi punti di forza unitariamente. Potrebbe aiutare a capire che il Recovery Plan deve avere un’idea forte di investimenti pubblici collocati nelle missioni del green e del digitale e di molto altro (scuola, sanità, mobilità, treni veloci) sempre a partire dal Mezzogiorno per tornare a riunire le due Italie. O, magari, per provare a restituire al Nord il suo principale “mercato di esportazioni” che i Bonaccini, gli Zaia e i Fontana di turno hanno stritolato con le loro mani facendo incetta di trasferimenti pubblici di sviluppo dovuti alla popolazione meridionale per tutelarne crescita, reddito e potere di acquisto con lo scopo di finanziare spesa buona e molta clientela a favore dei loro ricchi elettori.

Si può almeno evitare di ripetere l’errore strategico dell’ultimo ventennio che è quello di avere riempito di ogni genere di incentivo assistenziale il Nord cosiddetto produttivo educandolo alla scuola della rendita pubblica fino a perdere tutte le grandi imprese private e mettendo fuori mercato venti milioni di produttori e consumatori (Mezzogiorno) senza i quali ogni idea di potenza economica italiana è destinata a sparire perché ha perso il suo mercato di consumi interno più rilevante e non vi è più la soglia minima dimensionale di impresa nazionale?

Lasciate perdere questi ragionamenti, il Capo dei Capi delle regioni, Bonaccini, senza un minimo di rossore sa che cosa ordinare a Conte. Lo dice chiaro chiaro al suo intervistatore: «Chiamare Regioni ed enti locali per decidere insieme chi fa cosa. (…) E poi concordare insieme quali strumenti normativi attivare affinché ciascun soggetto attuatore possa realmente impegnare in tre anni le risorse assegnate. Non mi pare così difficile da capire».

Capito, Conte? Non mi pare così difficile da capire. Ancora più perentorio il Doge veneto: «Contro il Covid serve un governo stabile. Meglio andare al voto».

Non abbiamo nulla da aggiungere. Con tutto quello che hanno avuto di spesa pubblica per finanziare le loro sanità, le Regioni Veneto e Emilia-Romagna sono tra quelle che soffrono di più con la seconda ondata di Coronavirus. Ovviamente non si scusano di nulla i loro Capi assoluti rieletti a furor di popolo e super potenti con la cassa degli altri. Fanno i soliti maestrini, farfugliano facendo finta di schermirsi di modelli da imitare (che sono loro) senza mai accennare a un minimo di autocritica. Ovviamente impartiscono ordini al Capo del Governo presente e futuro. Povera Italia!


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