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I governatori Bonaccini, Zaia e Fontana

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Vogliamo dire subito che l’appunto politico del ministero dell’economia di considerare il Sud come priorità trasversale negli investimenti pubblici di tutte le missioni del Recovery Plan italiano, fortemente incoraggiato dal Presidente Conte, è esattamente ciò che chiede questo giornale da mesi e, soprattutto, è ciò che serve all’Italia per ripartire davvero uscendo dal circuito perverso della redistribuzione a favore dei ricchi con gli incentivi e i bonus che vanno a finanziare l’assistenzialismo di alto bordo. Speriamo che le turbolenze della politica non rovescino per terra la nuova torta prima di metterla in forno

Siamo di fronte all’anomalia veneta. Parola di Luca Zaia. Per capirci, questo lo diciamo noi, l’anomalia veneta significa che dal 15 dicembre a oggi per sedici volte su ventuno il Veneto ha avuto il massimo numero di deceduti da Covid 19 in valori assoluti.

Nella giornata di ieri questo infausto primato il Veneto lo ha ceduto all’Emilia-Romagna collocandosi come secondo direttamente alle spalle della Regione guidata da Stefano Bonaccini.

Abbiamo difficoltà a crederlo, ma è accaduto. Ci riferiamo al disastro assoluto, l’ennesimo di una lunga serie, della Regione Lombardia sul fronte della distribuzione dei vaccini anti-Covid. È tra le ultime dopo non essere stata capace di vaccinare il suo personale sanitario nemmeno contro l’influenza. Chi si permette di difendere ancora i venti staterelli della sanità e di tornare a dire che i modelli da imitare sono l’Emilia-Romagna, il Veneto, la Lombardia, abbia il coraggio di misurarsi con questi numeri e con questi fatti inoppugnabili.

Fa effetto sentire Zaia che è costretto a rinviare di un altro mese la riapertura delle scuole. Fa effetto vedere la Lega che scarica l’assessore forzista della sanità dopo che, a partire dalla macroscopica sottovalutazione iniziale fino a oggi, non ci è stata una sola fase in cui la Regione Lombardia – epicentro del contagio nazionale – non abbia dimostrato la sua totale inadeguatezza.

Fa effetto sentire pontificare in ogni dove e su ogni cosa il presidente della Regione Emilia-Romagna senza mai rispondere di ciò che accade nei suoi territori. Ci sarà un posto sperduto della democrazia italiana dove si potrà almeno porre il problema di come è possibile che queste tre Regioni che hanno avuto dal 2000 al 2017 il quadruplo, il triplo o il doppio degli investimenti pubblici in sanità di Regioni come Campania e Puglia per non parlare della Calabria, si trovino in queste condizioni e inanellino una figuraccia dietro l’altra? A nostro avviso è urgentissimo il ritorno al servizio sanitario nazionale e a un’idea unitaria di Paese.

Dopo il ventennio del regionalismo dell’irresponsabilità, che ha portato Nord e Sud dell’Italia a essere gli unici due territori europei a non avere raggiunto i livelli pre-crisi del 2008, l’Italia ha il dovere di fare l’esatto contrario di quello che ha fatto fino a oggi negli investimenti pubblici, tagliando brutalmente la spesa sociale nel Mezzogiorno e addirittura abolendo quella infrastrutturale.

Vogliamo dire subito che l’appunto politico del ministero dell’economia di considerare il Sud come priorità trasversale negli investimenti pubblici di tutte le missioni del Recovery Plan italiano, fortemente incoraggiato dal Presidente Conte, è esattamente ciò che chiede questo giornale da mesi e, soprattutto, è ciò che serve all’Italia per ripartire davvero uscendo dal circuito perverso della redistribuzione a favore dei ricchi con gli incentivi e i bonus che vanno a finanziare l’assistenzialismo di alto bordo.

Non avendo risparmiato critiche sempre fattuali al ministro Gualtieri, vogliamo dare atto a lui e alle strutture tecniche dell’Economia di avere prodotto qualcosa di strategicamente importante. Che non significa affatto che le cose andranno nel verso giusto, perché c’è un blocco di 40 e passa miliardi di incentivi e super bonus che è difficile da smontare, ma vuol dire almeno che la battaglia condotta in assoluta solitudine da questo giornale sulla necessità obbligata di dare priorità assoluta agli investimenti pubblici e, al loro interno, ai territori meridionali dal green al digitale fino a scuola e sanità, sta cominciando a buttare giù qualche muro.

Ci piace riconoscere, in questa sede, il lavoro prezioso del ministro per gli Affari europei, Vincenzo Amendola, che da sempre si è battuto perché il Recovery Plan italiano fosse incentrato sugli investimenti pubblici. Al momento siamo, a questo proposito, sugli 80/85 miliardi e ci fanno un po’ sorridere le esemplificazioni giornalistiche dirette a rivalutare il 34% del Mezzogiorno, al momento esistito solo sulla carta, in un altro fantomatico 40% mentre in base ai criteri del regolamento europeo (tassi di disoccupazione e inversione del Pil) almeno per il fondo perduto si dovrebbe arrivare al 65,99%.

Consigliamo agli uomini di governo e ai tecnici che li assistono la lettura di Fabrizio Galimberti (pagine II e III) che, da par suo, documenta che il maggiore giacimento di crescita italiano è il Mezzogiorno che ha un “mercato che vale potenzialmente tre volte l’export italiano”. Bisogna capirlo una volta per tutte: il Paese si è fermato perché ha una giustizia e una burocrazia che sono percepiti dagli investitori interni e globali come la peste assoluta molto prima del Coronavirus, ma ancora di più a causa delle scelte scellerate ventennali di spesa pubblica che hanno abolito quelle di sviluppo nel Mezzogiorno per sostenere molto assistenzialismo nel Nord.

Sono scelte che hanno portato il reddito pro capite di venti milioni di persone a poco più della metà degli altri 40 milioni. Questo è il problema italiano, non del Mezzogiorno. Perché il Nord produttivo, sopravvissuto all’abbuffata indebita di finanziamenti pubblici e all’idrovora dei carrozzoni regionali, ha perso il suo primo mercato sano di “esportazioni” che è quello interno di un’area così vasta da rappresentare da sola per popolazione il sesto Paese europeo.

Per questo l’Italia con il Recovery Plan si gioca tutto perché è l’ultima occasione che ha per risolvere il suo problema che è il divario interno avendo a disposizione decine e decine di miliardi a fondo perduto e, cioè, soldi che non costano niente e che non sottrae a nessuno. Per fare crescere la torta dell’economia italiana non serve continuare a litigare sulle sue fette, bisogna solo capire una volta per tutte che la ricetta del pasticciere seguita fino a oggi non funziona.

Per questo oggi ci interessa che i cucinieri del Ministero dell’Economia adottino la ricetta nuova e che le turbolenze della politica tra parole altisonanti, seggiole e sgabelli di potere, non rovescino per terra la nuova torta prima di metterla nel forno. Poi, a tempo debito ravvicinatissimo, ci occuperemo di quali competenze servono, e dove sono, per gestire un cambiamento di rotta così impegnativo che vuol dire ricostruire la macchina dello Stato e liberarlo dal cappio al collo dei feudatari regionali del Nord e del Sud.

Adesso al Paese serve che questa politica così traballante faccia una scelta così importante perché c’è l’Italia da salvare.


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