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Palazzo Chigi

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Abbiamo perso in un anno il 10% di prodotto interno lordo, un dato così non si vedeva dal ’44 quando il Paese era sotto i bombardamenti. Il 30% del nostro debito è nella pancia della Banca centrale europea, ma i giochetti della politica italiana rischiano di consentire al governatore della Bundesbank di non essere più solo contro questi acquisti a piene mani. A che cosa dobbiamo ancora assistere prima che si decida di non fare più pasticci con i fondi europei e di cogliere l’occasione del Recovery plan per riunificare le due Italie e darne conto a chi ci finanzia anche a fondo perduto perché vuole questo risultato, non altri? Si prenda esempio dalla capacità decisionale del nuovo presidente della Consulta Coraggio e si intervenga sulla macchina dello Stato e sul federalismo irresponsabile. Altro che teatrino!

Conte toglie voti al Pd, bisogna fare un governo con lui. Renzi è un dato del paesaggio, ma non si capisce perché ha dietro sempre un esercito, un reggimento o una pattuglia. Arriva il tram degli italiani all’estero. Qui alla Lega sono più gli arrivi che le partenze. Una cosa è il governo del cambiamento, un’altra è il governo del tradimento. Gli italiani sappiano che i numeri qualcuno ce li ha. Siamo responsabili, ma non fessi. Voltagabbana, irresponsabili, responsabili. Non capisco, io li chiamerei costruttori. L’attuale maggioranza non ha interesse a andare al voto. Renzi Ghino di tacco.

Frasi scelte dal Titanic Italia consegnate qui e là nel circuito dei talk di casa nostra dove ogni due ore cumulate di teatrino politico arriva a fatica qualche “buona” notizia. Abbiamo perso in un anno il 10% di prodotto interno lordo buttato lì in qualche decimo di secondo. Se qualcuno avesse la bontà di informare che un dato così non si registrava dal ’44, l’anno in cui i tedeschi invadevano l’Italia e il Paese era sotto i bombardamenti, magari sarebbe più facile rendersi conto di che cosa stiamo discutendo. Questo giornale ha parlato di Titanic Italia in assoluta solitudine e nota con piacere che anche la cosiddetta stampa di qualità comincia timidamente a parlare di Europa preoccupata per questo teatrino italiano del nulla con cinque milioni di posti di lavoro a rischio, il Mezzogiorno ridotto a polveriera sociale, interi settori economici azzerati con imprese mal ristorate, una generazione di studenti che non ce la fa più, famiglie mai di fatto uscite dal lockdown.

Noi vogliamo essere molto chiari. Fuori dall’Italia di questo teatrino chiamato crisi che si consuma secondo i riti delle correnti Dc della Prima Repubblica nei giorni del nuovo ’29 mondiale e in piena pandemia sanitaria mentre ci toccherebbe guidare il G20 che dovrebbe scrivere la nuova Bretton Woods, nessuno capisce niente. Proprio nessuno. I nostri soccorritori europei tremano per l’Italia e per loro stessi visto che anche l’opposizione sovranista più ridicola d’Europa, quella italiana, dovrà prima o poi prendere atto che il 30% del nostro debito è nella pancia della Banca centrale europea. Dovrà prendere atto che da quelle parti c’è un signore che credo di conoscere abbastanza bene e si chiama Jens Weidmann governatore della Bundesbank e capo dei falchi in Bce. Mi invitò a cena un po’ di tempo fa a Francoforte e non fece altro che parlarmi bene di Draghi dopo avergli votato sempre contro. Ne apprezzai la “coerenza”. Mi informano che ha ripreso a fare il bastian contrario con madame Lagarde esprimendo il suo dissenso sull’allargamento del piano di acquisti di titoli sovrani.

Sapete quanto ci sguazzerà a dire che la Bce non deve pagare i giochetti incomprensibili della politica italiana! Soprattutto, chiediamocelo, rimarrà solo o farà proseliti?

Non siamo soli a fare cose da pazzi in questa pandemia senza fine perché è una catastrofe mondiale e, per esempio, la disobbedienza sociale e il non rispetto delle regole a Londra fanno impallidire ciò che accade in casa nostra. Qui, però, in casa nostra c’è altro perché si tratta di qualcosa che viene da molto lontano. C’è un Paese che da venti anni non cresce, prigioniero di una gabbia di federalismo irresponsabile che ha bloccato lo sviluppo del Paese e consente che in Emilia-Romagna l’80% dei Comuni abbia un servizio di asilo nido pubblico e che in Calabria siano il 10% con una differenza di finanziamento pro capite che va da 1286 a 126 euro. Ho ascoltato il Presidente della Corte Costituzionale, Giancarlo Coraggio, intervistato da Floris a Di martedì, e ho apprezzato la lucidità con cui ha definito il nostro federalismo ibrido e l’esigenza più volte sottolineata di investire sull’amministrazione da troppo tempo trascurata proprio perché il cambiamento deve partire da dentro. Soprattutto ho apprezzato che la Consulta presieduta da Coraggio ha per la prima volta sospeso l’efficacia della legge della Regione Valle D’Aosta che disponeva misure di contenimento dell’epidemia in contrasto con quelle disposte dallo Stato. Se si vuole le cose si possono fare, non è detto che se ne debba solo parlare per di più in un teatrino non solo politico ma anche mediatico. Questo è il problema dell’Italia. Come dare torto a Patrizio Bianchi quando dice che la povertà educativa è la nuova questione meridionale e quando chiede di ricostituire le competenze dell’amministrazione centrale.

Sentite mai dagli uomini dei partiti o dai conduttori inscatolati nel talk permanente del teatrino italiano almeno chiedersi dove sono finite le valutazioni degli investimenti dei tecnici dell’Imi? Perché anche le Regioni hanno acquisito poco queste competenze? Che cosa deve ancora succedere per porsi e risolvere il problema di dare all’Italia una macchina burocratica capace di spendere e di fare le cose? A che cosa dobbiamo ancora assistere prima che si decida di non fare più pasticci con i fondi europei e di cogliere l’occasione del Recovery Plan per riunificare le due Italie e darne conto a chi ci finanzia anche a fondo perduto perché vuole questo risultato, non altri?

Non dovrebbe chiedercelo o imporcelo l’Europa, ma dovremmo farlo noi uscendo dalla gabbia del miope federalismo che toglie ai poveri sviluppo per regalare ai ricchi assistenza. Sarebbe bene che almeno ci si chiedesse che cosa farà di tutto ciò questo governo confermato o quello integrato o quello nuovo che verrà. Per carità, no: non abbiamo nessun problema. Non è vero che ci sono cinque milioni di posti di lavoro a rischio. Non è vero che il Sud è stato abolito dalla spesa sociale e infrastrutturale per il miope egoismo dei potentati regionali del Nord e che si trova stretto nelle grinfie di una classe politica di feudatari meridionali, con rare eccezioni, che non molla la cassa di cui si è arbitrariamente impossessata. Per carità, lasciamo perdere. A noi piace il teatrino della politica. Si chiama il Titanic e l’orchestrina.


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