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Il premier Mario Draghi

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Questa Italia non deve esistere più. Non può più essere necessario attendere fino a tredici anni per una valutazione di impatto ambientale. Non può più accadere che per sei lunghissimi anni il ministero dei Trasporti non sia stato in grado di produrre un progetto esecutivo uno degno di quel nome. Non può più accadere che ogni parere della Regione coinvolta diventi una stazione di sosta che blocca tutto per anni. Sul decreto semplificazioni non sono ammessi compromessi e mediazioni di sorta. La Nuova Ricostruzione parte dai 36 mesi ridotti a 2 della fase autorizzativa, l’abbattimento dei tempi della giustizia civile, una pubblica amministrazione rifondata e una centrale di progettazione 4.0 che riunisca centro e periferie

Questa Italia non deve esistere più. Non può più essere necessario attendere fino a tredici anni per una valutazione di impatto ambientale. Non può più accadere che per sei lunghissimi anni il ministero dei Trasporti non sia stato in grado di produrre un progetto esecutivo uno degno di quel nome. Non può più accadere che ogni parere della Regione coinvolta diventi una stazione di sosta che blocca tutto per anni.

Siamo nella condizione di partenza raccapricciante che in tre progetti chiave – alta velocità/capacità Salerno-Reggio Calabria, Palermo-Catania-Messina, Roma-Pescara – non solo siamo lontani da un calendario operativo che ci permetta di rispettare le date di scadenza finali dell’opera, ma addirittura siamo abissalmente distanti dalla possibilità che si possano generare stati di avanzamento dei lavori (Sal) tali da consentire di avere accesso ai fondi del Recovery Plan.

Per capirci, se le cose rimanessero così e, cioè, come sono state lasciate in eredità dal governo Conte e da chi lo ha preceduto negli ultimi sei anni, i progetti rimarrebbero poco più di una disponibilità di cassa ovviamente inutilizzata. Di questo si dovrà chiedere conto a vita all’ex ministra Paola De Micheli, di sicuro dal dopoguerra a oggi il punto di massima decadenza nella guida di questo dicastero accoppiato a un’insostenibile supponenza che le ha consentito per mesi di raccontare la favola che il trasporto pubblico locale non era un luogo di contagio e, cosa per noi ancora più grave, che avrebbe aperto a breve i cantieri della Salerno-Reggio Calabria facendo finta di non rendersi conto che non aveva in mano nemmeno uno studio di fattibilità completo.

Non può più accadere che il rampollo De Luca, vice capogruppo del Pd alla Camera e figlio del Presidente della Regione Campania, faccia il diavolo a quattro perché le nuove assunzioni nella pubblica amministrazione dei Comuni della Campania avvengano con la sola partecipazione al corso di formazione senza neppure una prova meritocratica. Come possa impunemente permettersi De Luca junior di ritenere inutili le prove di inglese e di digitale per le nuove leve della pubblica amministrazione alla vigilia di una stagione straordinaria di investimenti pubblici finalmente coordinata dentro un progetto Paese integrato, misura il ritardo culturale di una classe dirigente e lo stigma clientelare di cui è essa stessa motore.

Questa situazione ci indigna perché offende un’intera classe dirigente meridionale che di sicuro non è questa. Mortifica gli sforzi diffusi di riorganizzazione e di accelerazione meritocratica che molti Comuni del Sud, le eccellenze universitarie pubbliche, e pezzi importanti delle nostre amministrazioni portano avanti con il massimo dell’impegno. Accende un’ipoteca sinistra sul talento dei giovani che hanno dato e conseguito di più nei loro specifici ambiti e che hanno, forse, per la prima volta la possibilità reale di mettere il loro capitale umano al servizio della società e dell’economia del Mezzogiorno. Servono tecnici informatici di qualità, conoscenza scritta e parlata dell’inglese economico, ingegneri gestionali. Non è più possibile continuare con il corso di formazione più o meno pilotato e la cultura del posto fisso fuori dalla storia e dalla portata del nostro bilancio pubblico e dei nostri debiti.

Non riusciamo a spiegarci come sia possibile che un segretario del Pd con la storia e i principi di Enrico Letta possa tollerare un simile andazzo. Così come ci aspettiamo che Giuseppe Conte per la conoscenza che ha di questi temi e l’idea di società che ha in testa porti il movimento Cinque Stelle così radicato nel Mezzogiorno fuori dalla palude dell’uno vale uno e da un assistenzialismo che non è il giusto sostegno ai poveri ma la mela bacata dell’albero del futuro. I governi non si misurano per la loro durata, ma per quello che riescono a fare. Sul decreto semplificazioni non sono ammessi compromessi e mediazioni di sorta. Agli omini dell’Europa non dobbiamo dire “faremo”, ma “abbiamo fatto”. Nel nostro interesse prima del loro.

Abbiamo molta fiducia in Mario Draghi e non ci stanchiamo di ripetere ai partiti che il loro dividendo politico sarà il tasso di cambiamento che consentiranno di realizzare al governo di unità nazionale. La Nuova Ricostruzione parte dai 36 mesi della fase autorizzativa ridotti a 2 o 3 per l’oggi e per il domani, l’abbattimento dei tempi della giustizia civile, una pubblica amministrazione rifondata e una centrale di progettazione 4.0 che riunisca centro e periferie. Solo la politica che li ha prodotti può oggi rimuovere i macigni del ritardo italiano. Ha cento giorni per farlo. Dopo, sarebbe troppo tardi.


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