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Il premier Mario Draghi in videoconferenza con i governatori

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Vogliono essere loro a decidere cosa dare o non dare al singolo Comune e perpetuare le consuetudini della somma ingiustizia distributiva territoriale. Questo assalto non è passato perché i fondi sono nazionali, il piano è nazionale, l’obiettivo dell’Europa che finanzia è il riequilibrio territoriale, le somme del Recovery e del Fondo complementare non riguardano le funzioni dello Statuto speciale né quelle delegate delle Regioni. Ma bisogna vigilare perché il Paese ha bisogno di accorciare la catena di comando e di fare l’esatto opposto di quello che ha fatto negli ultimi venti anni

Riforma agraria. Piano casa. Nazionalizzazione elettrica. Piano Sud. Scuola media unica. Sono solo alcuni dei titoli di un riformismo concludente che ha posto le basi con il centrismo degasperiano e il primo centrosinistra a guida fanfaniana della compiuta trasformazione di un Paese agricolo di secondo livello uscito in macerie dalla seconda guerra mondiale in una economia industrializzata e, addirittura, in una potenza economica mondiale. La sfida di oggi che ha davanti Draghi è quella di riportare uno dei Paesi più fragili dell’Europa, l’Italia ricevuta in eredità dal ventennio della crescita zero, al rango di Fondatore in Europa e a un ruolo di protagonista nella definizione del nuovo multilateralismo che sarà la Bretton Woods del nuovo mondo. È una sfida che mette insieme la portata della doppia sfida vinta dall’Italia del Dopoguerra con il centrismo degasperiano e con il centrosinistra fanfaniano.

Perché questa lunga premessa di cui chiedo scusa? Semplicemente per dirvi che anche se continuano a parlarvi di tavolini e di posti a tavola all’aperto e al coperto, il futuro dell’Italia è nel decreto unico di Semplificazioni e nuova governance già approvato e quello in arrivo sui nuovi reclutamenti nella pubblica amministrazione. Bisogna capirlo una volta per tutte. Non si può andare avanti con il codice dei non appalti di Delrio e non si gioca neppure la partita del Recovery con le fragilità di sistema amministrative, civili, penali e, più di tutte, regionaliste e a statuto speciale nella forma più deteriore possibile che è quella del federalismo italiano della irresponsabilità, sintesi algebrica del più miope degli egoismi nazionali.

Questo giornale ha totale fiducia in Draghi e nel suo metodo di governo. Che significa decidere, mediare, decidere. Soprattutto, decidere, non decidere di ragionare ancora e di rinviare sempre. Il soggetto unico di controllo, monitoraggio e rendicontazione presso la Ragioneria generale dello Stato, la struttura dedicata a specchio di ogni singolo ministero e la cabina di regia a Palazzo Chigi con poteri di richiamo su regioni e ministeri inadempienti costituiscono la clausola di salvaguardia del Paese e la norma più rilevante di attuazione della coerenza meridionalista del Progetto Italia nella effettiva realizzazione della riunificazione infrastrutturale immateriale e materiale delle due Italie e, ancora prima, della sua riunificazione civile e sociale. Questo è il principio di uguaglianza violato così magistralmente richiamato dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel discorso più bello fino a oggi del suo Settennato.

Non era nata per questo, Agenas. Era nata per radicarsi nel territorio, monitorare, vigilare. Doveva controllarle ed è finita sotto il controllo delle Regioni, capite l’assurdo? E dire che, per evitare sudditanze, subire pressioni o entrare nella sfera dei ras regionali, lo statuto aveva previsto che il presidente e i 4 componenti del Cda fossero nominati dal presidente del Consiglio su proposta del ministro della Salute e gli altri due membri dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Qualcosa di simile alla spagnola Agencia de calidad del sistema nacional de salud o della Dimdi tedesca o della Nivel olandese. Punto di raccordo tra il livello centrale e periferico con il coinvolgimento di esperti di riconosciuta competenza in diritto sanitario purché estranei alla pubblica amministrazione, fuori dalla logica dei clientelismi.

Invece no, proprio no. Qui in casa nostra siamo all’ascesa degli uomini dei governatori, alle solite opacità e ai mille esami a vuoto di Corte dei Conti su inefficienze, sprechi, diseguaglianze. Intervenire su queste vergogne significa cambiare il Paese e restituire alla sua popolazione e alla sua economia un assetto pubblico dove si sa chi comanda, si sa chi fa le cose, e dove tutto si muove nella stessa direzione perché le energie vitali si possano esprimere al meglio, la crescita diventi un fatto certo e contagioso, e l’Italia riparta alla grande. Per mettere le basi che consentiranno di fare tutto ciò e avviare un processo che trasformi un rimbalzo effervescente in una crescita sostenuta di lungo termine, abbiamo malcontate sei settimane. Non possiamo perdere neppure un minuto.


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