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Mario Draghi

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Non ci sono promesse. Non ci sono  ballon d’essai. Non ci sono cattedrali nel deserto. Si trasmette  l’immagine di chi non stacca le mani dal timone e gli occhi dalla rotta. Se saremo capaci di dimostrare ai popoli che pagano più tasse nei loro Paesi per finanziare la nostra crescita che siamo stati di parola, che abbiamo fatto le cose che servono e non abbiamo buttato i soldi, allora questa nuova Italia convincerà tutti che è cominciata anche la nuova Europa

IL DIBATTITO sull’eurobond da 20 miliardi di Next Generation Eu che poi non è un eurobond in senso stretto merita qualche parola in più.  Per capire esattamente di che cosa stiamo parlando e quale è il dibattito politico che ruota intorno a esso. Non è un eurobond in senso stretto perché è temporaneo, quindi non per sempre, e perché è garantito indirettamente dai vari stati nazionali, non dallo stato federale europeo che ancora non c’è.

Benché una minima condivisone dei rischi in effetti oggettivamente esiste in quanto l’Italia garantisce tot e prende di più, la Germania garantisce tot e prende di meno. In questo senso si può dire che c’è un embrione di eurobond che non è ancora un vero eurobond. Basta però questo embrione per scatenare la solita retorica austriaca, olandese, e siccome anche le pulci hanno la tosse, perfino finlandese.

Non passi per la testa di Roma e di Parigi di mettere i debiti in comune, tuonano i cosiddetti Paesi frugali, che hanno debiti privati stellari, soprattutto gli olandesi, ma di questo non vogliono discutere. Sia ben chiaro, tuonano, che mai e poi mai si deve andare verso la condivisione dei debiti pubblici ancorché parziale, mai e poi mai loro si faranno incastrare dottoreggiano di propaganda in propaganda dando corpo a paure incontrollate.

Facciamola breve: per loro deve essere una cosa temporanea legata solo al Covid perché i soldi degli olandesi, degli austriaci e così via non devono andare agli italiani che li buttano. Questa, diciamocela tutta, è la loro retorica che non ha nulla di nobile e molto di propagandistico a uso interno fomentando i peggiori egoismi. Per questo non si esagera quando si sostiene che sull’attuazione efficiente del Recovery Plan italiano, più ancora di quello spagnolo, si gioca il futuro dell’Italia  e dell’Europa perché in  caso di fallimento italiano faremmo vincere la retorica del Nord Europa che avrebbe buon gioco a dire che la Banca centrale europea deve smetterla di finanziare gli Stati e che è giusto che ognuno vada per i fatti propri. Vince la loro retorica e finisce l’Europa.

Questa almeno è la loro sintesi pelosa che assomiglia moltissimo alla stessa retorica della Roma ladrona di Bossi, della secessione, e dei discorsi caserecci del tipo  ognuno si tiene i propri soldi.

Tutto ciò accade mentre l’Europa sta approvando un Piano nazionale dietro l’altro e presto tocca all’Italia. Dove l’ok più convinto sarà al cronoprogramma delle riforme, ma non mancheranno prescrizioni e raccomandazioni. Ora capirete perché sosteniamo in modo ossessivo che il cuore della scommessa del governo di unità nazionale a guida Draghi è quel nucleo essenziale di riforme che sono semplificazioni, nuova governance, reclutamenti, procedure finanziarie.

Dobbiamo esserne consapevoli e dobbiamo anche avere presente che nei ministeri e nelle Regioni ci sono  ancora le persone di prima. Che non smetteranno di agire con la logica della autorizzazione che blocca tutto in partenza. Che vogliono dire la loro su tutto e tutti, perfino sulle rotte degli autobus gestite dai privati. Che impongono regole assurde su distanze e tracciati. Questa Italia che è quella delle stazioni che pretendono gabelle e non appaltano niente deve sparire.

L’immoralità del controllo formalistico a vita deve lasciare il posto al nuovo modello con soggetto unico di rendicontazione e poteri di richiamo a Palazzo Chigi rispetto a ministeri e Regioni per garantire finalmente il massimo di efficacia e di onestà nella capacità di aprire i cantieri e di fare le cose. Sarà fondamentale la qualità degli investimenti. Sarà fondamentale che i soldi europei  siano spesi bene con efficienza su progetti seri e con “l’onestà delle nostre procedure” di modo che la nostra spesa per la crescita dimostri al resto dell’Europa che l’Italia è cambiata.

Siamo alla fiducia sul parlar chiaro e sul parlare di cose. Non ci sono promesse. Non ci sono  ballon d’essai. Non ci sono cattedrali nel deserto. Si trasmette l’immagine di chi non stacca le mani dal timone e gli occhi dalla  rotta. Il mare alto con cui questo governo si deve misurare è quello italiano, ma solo se questa navigazione procederà spedita avremo l’Europa che sarà un protagonista nel grande gioco tra Stati Uniti, Cina e Russia e, sullo sfondo, di India e di tigri asiatiche. Non torneremo più alla zoppìa del patto di stabilità e crescita europeo (la definizione è di Ciampi) ma quello che verrà dopo dipenderà moltissimo da ciò che dimostreremo di sapere fare noi.

Sarà credibile un’Europa che persegue una politica espansiva, con regole nuove nella politica fiscale  e con i principi saldi di coesione sociale e di lotta alle diseguaglianze, insomma più equa e ecosostenibile, ma anche qui davvero molto dipenderà da ciò che saremo capaci di sapere fare noi. Anche se vi potrà sembrare un volo pindarico, la cruda realtà ci dice che se dimostreremo ai popoli che pagano più tasse nei loro Paesi per finanziare la nostra crescita che siamo stati di parola, che abbiamo fatto le cose che servono e non abbiamo buttato i soldi, allora  lo schock di questa nuova Italia convincerà tutti che è cominciata anche la nuova Europa.


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