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Un asilo nido

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Quelli di prima fanno come prima. Se sei un piccolo comune e non hai asili nido ti toccano tre punti, ma se sei un grande comune e hai capacità di finanziamento i punti arrivano fino a dieci. Il bando era pronto e confezionato con le stesse regole di prima ed è uscito uguale. Invece di dare dieci punti in partenza a chi non ha avuto mai niente per costruire i suoi asili nido e tre punti in partenza a chi invece ha capacità di finanziamento e ha fatto man bassa fino a oggi di finanziamenti pubblici grazie al più miope dei federalismi e alla sua bandiera della sperequazione che è la spesa storica

Quelli erano e quelli sono. Il bando era pronto e confezionato con le stesse regole di prima ed è uscito uguale. Per cui se tu sei un piccolo comune e non hai asili nido ti toccano tre punti, ma se sei un grande comune e hai capacità di finanziamento i punti che ti toccano arrivano fino a dieci. Ministro Bianchi, sappiamo come la pensa e sappiamo quali sono le scelte compiute e gli indirizzi dati. Per queste ragioni non può non saltare la regolina per cui si continua a favorire chi più ha rispetto a chi ha meno ricevuta in eredità dalla burocrazia di prima che è sempre saldamente al suo posto.

Non è neppure un tema di Nord e Sud che in parte recupera nelle grandi città grazie al terzo criterio che è la elevata densità abitativa tra zero e sei anni. Il punto è semplicemente uno. Che se si dichiara e si mette nero su bianco che il primo obiettivo del Piano nazionale di ripresa e di resilienza è ridurre la disparità territoriale e il secondo è ridurre quella di genere, allora è evidente a tutti che bisogna dare dieci punti in partenza a chi non ha avuto mai niente per costruire i suoi asili nido e tre punti in partenza a chi invece ha capacità di finanziamento e ha fatto man bassa fino a oggi di finanziamenti pubblici grazie al più miope dei federalismi e alla sua bandiera della sperequazione che è la spesa storica. Da questo circolo vizioso per cui il ricco diventa sempre più ricco e il povero diventa sempre più povero, non si esce con le stesse regole di prima e, soprattutto, con gli stessi burocrati di prima.

Attenzione, questo rischia di essere l’imbuto della nuova Italia dove clima favorevole interno e internazionale, capacità del governo di fare riforme nei tempi prestabiliti, successo della campagna di vaccinazione non scalfiscono il muro di una burocrazia incapace e/o legata a un coagulo di interessi corporativi che vuole continuare a fare le cose come le ha sempre fatte. Con gli stessi tempi fuori dal mondo e con gli stessi criteri che favoriscono sempre le stesse persone e gli stessi interessi. In queste condizioni è automatico ripetere gli errori del passato e tagliare le gambe alle speranze diffuse di un nuovo miracolo economico italiano.

Sono gli stessi burocrati che dicono no senza un motivo alle grandi stazioni dei bus ecologici nelle piazze italiane proposte da soggetti privati. Sono gli stessi burocrati che possono fare tutto in deroga con i poteri commissariali, ma si guardano bene dal farlo. Sono gli stessi commissari che hanno tutti i poteri per fare partire i lavori addirittura senza concessione. Possono fare un decreto e fare l’esproprio dei terreni, ma ancora una volta se ne guardano bene dal farlo.

Sono i “padroni” dei quindici miliardi di trasporto pubblico locale dove non funziona nulla se non la fame sempre appagata delle Regioni di nuovi fondi pubblici, di nuove assunzioni e di nuovi stipendi clientelari. Dove la regola dell’impiego pubblico è frenare tutto, rinviare tutto, non decidere nulla, mentre nell’impiego privato il punto dirimente non è bloccarsi per non fare la cosa sbagliata, ma viceversa evitare di non fare niente. L’approccio è culturalmente capovolto.

Le Regioni sono peggio dello Stato e chiunque voglia fare impresa ne è consapevole perché sa quanti intralci riceve nella sua attività. Bisogna tornare ad aprire in Italia un dibattito tra liberalizzazioni e privatizzazioni perché non si ripetano gli errori del passato. Dove si è liberalizzato per davvero come nell’alta velocità ferroviaria e nell’energia si sono prodotti benefici, dove invece si è solo privatizzato passando da monopolisti o oligopolisti pubblici a omologhi privati le cose spesso sono addirittura peggiorate.

È successo con la gestione della rete autostradale italiana e ci si continua a domandare perché debba essere una Ferrovie dello Stato in piccolo a gestire in Lombardia traffici decisivi per il trasporto regionale. C’è un intreccio perverso tra burocrazie regionali e nazionali che è la sintesi malata dei potentati politici italiani e che può stringere il collo della nuova Italia e strozzare la sua ripresa. Perché ha il potere di mettere granelli di sabbia quotidiani nelle ruote del nuovo ingranaggio e può così tornare a bloccare la ripartenza della macchina pubblica e privata degli investimenti. Sono i pescecani delle pandette che in combutta con altri pescecani di authority indipendenti e magistrature varie sguazzano da sempre nella palude italiana dove tutto decade in un immobilismo paralizzante tranne i loro piccoli o grandi affarucci. A questi pescecani va tolta l’acqua in cui sono abituati a navigare. Lo devono fare insieme governo e pubblica opinione perché altrimenti troveranno sempre un modo per salvare il loro torbido laghetto che chiude il mare pulito di tutti.

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