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Mario Draghi in collegamento con le Regioni

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Dovrebbero andare veloci veloci. Invece vanno piano piano. I primi devono avviare con le proprie direzioni generali i singoli progetti e devono costituire le unità di missione per il monitoraggio e il coordinamento. Le seconde invece non rivendicano solo la titolarità dei progetti che riguardano la sanità e il dissesto idrogeologico, ma pretendono di avere voce in capitolo su tutto perché nulla deve essere fatto sui loro territori senza che passi dalle loro mani. Il punto è che nei ministeri e nelle regioni ci sono ancora quelli di prima che non hanno alcuna voglia di cambiare metodo di lavoro. Facciamo in modo che l’autorità politica centrale recuperi il ruolo e i poteri che deve avere lo Stato di un Paese che è una grande economia industrializzata e ambisce a ritornare tra i grandi del mondo

La Ragioneria generale dello Stato ha fatto il suo perché la macchina esecutiva del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) faccia una buona partenza. Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha firmato il decreto che assegna le risorse ai ministeri che sono i capofila e fissa tutte le scadenze sui singoli progetti. Anche quelle specifiche degli atti amministrativi. Nessun dettaglio è stato trascurato perché la mera adozione degli atti amministrativi nel rispetto delle scadenze comporta l’arrivo dei soldi europei così come l’automatica perdita quando quelle stesse scadenze non sono rispettate.

Ministeri e Regioni dovrebbero andare veloci veloci. Invece vanno piano piano. I primi devono avviare con le proprie direzioni generali i singoli progetti e devono costituire le unità di missione per il monitoraggio e il coordinamento. Si vede poca traccia di questo lavoro prezioso. Le seconde invece rivendicano piena titolarità ovviamente dei progetti che riguardano la sanità e il dissesto idrogeologico, ma pretendono altresì di avere voce in capitolo su tutto perché nulla deve essere fatto sui loro territori senza che passi dalle loro mani. Queste intermediazioni di secondo livello e fuori dalle aree di competenza delegata costituiscono lo scoglio più rilevante contro cui può andare a sbattere la navigazione del Piano Italia di investimenti pubblici.

I capi delle Regioni vogliono mettere le mani perfino nei bandi degli asili nido fino al punto di costringere un uomo paziente e capace come il sindaco di Bari, Antonio Decaro, a prendere cappello. A dire chiaro e tondo che per decidere come e dove fare gli asili nido bastano due numeri (quanti bambini ci sono nel comune da zero a sei anni e quanti asili nido mancano per raggiungere la soglia europea) e che l’unico modo per continuare a non farli nel Mezzogiorno è quello di fare passare tutto dalle Regioni perché tutto si impantani nelle loro trafile burocratiche e di potere.

Parliamoci chiaro. Se non si assistono i ministeri rimpolpando e qualificando gli organici, soprattutto di quelli dell’ex ministero dei Trasporti, e non si riducono drasticamente le intermediazioni delle Regioni, le brutte sorprese sono dietro l’angolo. Come si è fatto con la scuola assumendo i docenti aggiuntivi, si sta procedendo a passo di carica per il reclutamento di 500 risorse qualificate da assegnare ai ministeri Si è predisposta una banca dati di professionisti alla quale le Regioni potranno attingere direttamente. Si sta lavorando con molta serietà per allestire una task force presso Cdp che aiuti nella fase della progettazione e dell’esecuzione le amministrazioni più in difficoltà del Mezzogiorno. Soprattutto il dicastero della Pubblica amministrazione guidato da Brunetta si sta impegnando a fondo.

Il punto è che nei ministeri e nelle Regioni ci sono ancora quelli di prima e che le loro teste non hanno alcuna voglia di cambiare forma mentis e metodo di lavoro. Anzi, in alcun casi, pensano solo a mettersi di traverso. Ciò non toglie che i ministeri si devono organizzare e devono fare in modo che gli enti presentino i progetti e che questi progetti siano di buona qualità. Perché sanno tutto. Sanno quante sono le risorse. Sanno quali sono gli interventi programmati. Sanno quali sono le priorità che sono stampate a caratteri cubitali nelle linee guida loro impartite. Sono tre non trentatré e si chiamano: Sud, giovani, donne. Ora devono fare.

Hanno due strade da percorrere entrambe con celerità. La prima è quella, a nostro avviso, che dà maggiori garanzie di successo perché coinvolge soggetti economici di riconosciuta affidabilità e il cui lavoro affidato dove era necessario in nuove mani competenti è più facilmente riscontrabile. I ministeri non devono fare altro che assegnare i fondi direttamente ai gestori delle grandi reti che dovranno partire aprendo i cantieri delle opere relativi ai singoli progetti. Dove è già individuato il soggetto attuatore, come nel caso delle Poste, si proceda direttamente all’esecuzione con l’ammodernamento degli uffici nei piccoli comuni partendo dal Sud.

La seconda strada riguarda l’emanazione dei bandi di gara ai quali competono gli enti territoriali con un vincolo del 40% minimo di progetti da finanziare riservato a comuni e aree metropolitane del Mezzogiorno. Le Regioni insisteranno molto per avere voce in capitolo su tutto, anche su questi progetti, ma non si dovrà consentire che ciò accada soprattutto nelle regioni meridionali. Perché si ripeterebbe un film dell’orrore che abbiamo già visto troppe volte e le tappe strettissime del Piano Italia finanziato con i fondi europei diventerebbero le nuove stazioni della stessa via crucis che da decenni condanna le popolazioni meridionali a perdere o spendere male ciò che l’Europa ci attribuisce. Mettiamocelo bene in testa e facciamo in modo che l’autorità politica centrale recuperi il ruolo e i poteri che deve avere lo Stato di un Paese che è una grande economia industrializzata e ambisce a ritornare tra i grandi del mondo non per il peso dei diritti della storia ma per quello che fa e sa costruire. Possiamo farcela, ma bisogna crederci.


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