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Francois Mitterrand

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Abbiamo conquistato una reputazione che non fa più ritenere dai mercati il debito un problema, non perché non lo sia ma perché si ritiene che Draghi vigilerà affinché se ne faccia di buono, non di cattivo. Abbiamo tassi da minimo storico per l’Italia e ci siamo scrollati di dosso il fastidioso primato di avere un decennale collocato peggio di quello greco. Abbiamo conquistato un ruolo guida in Europa. Abbiamo al timone il comandante e la squadra che potranno finalmente mettere in riga le amministrazioni centrale e regionale perché hanno il carattere e la credibilità che servono. I partiti pensino al domani, non solo all’oggi, e accettino il semipresidenzialismo all’italiana. Salveranno se stessi oltre che l’Italia

Per lungo tempo in Italia si è pensato, sbagliando, che il ruolo del capo dello stato fosse di tipo decorativo. Con gli ultimi tre settennati di Ciampi, Napolitano e Mattarella, in un caso con una infelice piccola aggiunta, si è avuta la dimostrazione ripetuta in misura crescente che la presidenza della Repubblica non è più solo una funzione di garante ai massimi livelli dell’unità del Paese, ma che ha assunto nei fatti un ruolo fondamentale per tenere dritta la barra nei momenti di grande difficoltà che hanno attraversato gli ultimi venti anni. Segnati da due grandi crisi internazionali, una pandemia globale che è il nuovo ’29 mondiale e un dualismo territoriale che si è accentuato in modo preoccupante di crisi in crisi.

Questo impone di restringere brutalmente il campo di scelte a personalità che abbiano la forza e la stabilità confermate da Draghi nella sua azione di governo, affiancate in questo caso da una credibilità personale internazionale e interna che giovano alla migliore accoglienza nel mondo delle due Italie e alla diffusione di una fiducia contagiosa nella comunità nazionale. La stessa fiducia contagiosa che fu il moltiplicatore di energie positive della prima Ricostruzione italiana a cui la nuova esplicitamente si rapporta.

Siamo di fronte a una modalità francese con un mutamento di fatto della istituzione e si pone il problema fondamentale di che cosa vogliono fare i partiti davanti a questa nuova situazione. Se accettano o meno questo semipresidenzialismo all’italiana o se viceversa si convincono, anche loro sbagliando, che questa prospettiva li taglia fuori e si mettono di traverso. Purtroppo, si percepisce un movimento sotterraneo che vorrebbe spingere a favore di un uomo di partito perché così i partiti si sentirebbero sicuri di non essere fregati. Qualcuno di loro, tra i più attivi, dice esplicitamente nei suoi conciliaboli che non accetta l’idea di finire in quella che lui chiama una “monarchia” senza capire che con una simile scelta i partiti otterrebbero solo di andare avanti con il “suicido assistito” fino al 2023.

Perché, diciamocelo chiaro, sarebbe inevitabile la pressione su Draghi per fare il suo partito per la semplice ragione che sarà il Paese a reclamarlo. I ceti dirigenti glielo chiederebbero perché dopo avere salvato l’euro ci ha portato fuori dalla pandemia e ha rilanciato l’economia. Anche se Draghi non è interessato glielo chiederanno comunque e si potrà verificare concretamente come il Paese che è, per fortuna, meglio dei suoi partiti e del loro supertalk unico estate-inverno, vorrebbe questa scelta. Perché il Paese è più avanti dei partiti in quanto la gente si rende conto di quello che è accaduto in questi pochi mesi e di quello che potrebbe accadere se la stessa mano ferma potesse svolgere il suo ruolo di guida effettiva della nazione su un arco di tempo più lungo con la stessa determinazione sul piano interno e il conseguente crescente apprezzamento sul piano internazionale.

Prescindendo dalla realtà economica, qualunque scelta partitica andrebbe in contrasto con il sentimento comune della popolazione e la esporrebbe a rischi di livello alto. Abbiamo conquistato in pochi mesi una reputazione che non fa più ritenere dai mercati il debito un problema, non perché non lo sia ma perché si ritiene che Draghi vigilerà affinché se ne faccia di buono, non di cattivo. Abbiamo tassi da minimo storico per l’Italia e ci siamo scrollati di dosso il fastidioso primato di avere un decennale collocato peggio di quello greco. Abbiamo conquistato un ruolo guida in Europa e uno standard internazionale di cui abbiamo vitale bisogno. Abbiamo al timone il comandante e la squadra che potranno finalmente mettere in riga le amministrazioni centrale e regionale perché hanno il carattere e la credibilità che servono.

Perché tutto questo patrimonio non si disperda, bisogna fare in modo di lasciare le carte in mano a Draghi e di consentirgli di guidare la rinascita scegliendolo come il nuovo Mitterrand italiano. Pensino al domani i partiti, non solo all’oggi perché ne trarranno il giusto dividendo politico e salveranno se stessi oltre che l’Italia.


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