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Sergio Mattarella e Mario Draghi alla presentazione del "Portale Ugo La Malfa - scritti, discorsi, epistolario, multimedia"

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Siamo davanti a un grumo di nodi che fa paura: macchina pubblica degli investimenti da sbloccare, lotta ai furbetti dei bonus edilizi, del reddito di cittadinanza e del regionalismo irresponsabile, conflitto irrisolto Nord-Sud e Stato-Regioni, scuola e sanità da ricostruire secondo parametri effettivi di riequilibrio. I burocrati delle Regioni non sanno fare un bando ma vogliono i soldi e condannano al fallimento i comuni, i ministeri sono svuotati di competenze, i sindacalisti si ostinano a tutelare il passato chiudendo la porta del futuro. Il problema dei problemi è dunque la capacità di spendere. Questo è il tasto su cui preme Draghi ogni giorno con il consueto pragmatismo. Questo dovrebbe impegnare giorno e notte le forze politiche che invece pensano solo alla propaganda

Un Paese incartato sui suoi ritardi. Lo abbiamo chiamato l’ingorgo. Che è il punto dove vengono al pettine i nodi del Covid che abbiamo affrontato meglio di tutti in Europa e si intrecciano con quelli lasciati in eredità dal ventennio della crescita zero e da un decennio di dominio sovranista e populista. Siamo davanti a un grumo di nodi che fa paura: concorrenza tradita e macchina pubblica degli investimenti centrale e territoriale da sbloccare, lotta ai furbetti dei bonus edilizi, del reddito di cittadinanza e del regionalismo irresponsabile, conflitto irrisolto tutto ideologico Nord-Sud e Stato-Regioni, scuola e sanità da ricostruire secondo parametri effettivi di riequilibrio, non di consolidamento dei divari.

È il conto cumulato del nuovo ’29 mondiale e del “non governo” storico di questo Paese con il quale ci si può misurare solo con il coraggio delle riforme economiche e sociali che si nutre di pazienza e di decisione scansando le trappole ideologiche e muovendosi su una rotta irrinunciabile di coesione e di convergenza che guarda lontano. Questa è la prospettiva di sistema e di coerenza meridionalista che Draghi sta dando al Paese che è apprezzata nel mondo e costituisce il più grande banco di prova della nuova Europa della coesione sociale. Qualcosa di tremendamente complicato che il sistema mediatico-partitocratico dell’Italia di prima fa fatica ad afferrare nella sua essenza e che, a volte, deliberatamente non vuole afferrare.

I partiti sono seduti su un barile di dinamite e aspettano più o meno inconsapevoli che qualcuno ci lanci un cerino dentro ciarlando del nulla e litigando sul nulla. Che è la propaganda che serve per i sondaggi e per i voti e che alimenta lo share del più malato dibattito della pubblica opinione del mondo occidentale che è quello italiano. I partiti che partecipano formalmente alla straordinaria esperienza del governo di unità nazionale che lavora con la pazienza del vero riformista alla Nuova Ricostruzione non hanno di fatto capito che viviamo un momento esplosivo o, per lo meno, questo è quello che si ricava dai loro comportamenti ondivaghi, sempre ideologici e sempre drammaturgicamente contrapposti.

Lo stesso Mattarella che ha giocato con lungimiranza la carta estrema Draghi è costretto a sottolineare che il tempo della responsabilità non è ancora concluso. Vuol dire che è consapevole che ci sono tanti fiammiferi che vengono irresponsabilmente gettati nel barile di polvere da sparo da Capi e Capetti di questo o quel partito, sindacalisti che si ostinano a tutelare il passato chiudendo la porta del futuro, un caravanserraglio informativo a base di talk e dei loro conduttori che restano con la testa tra le nuvole del mondo della irrealtà.

Parliamo a ogni ora del nuovo inquilino del Quirinale, non di come evitare le marchette delle Regioni dei ricchi che sottraggono risorse di sviluppo al Mezzogiorno o di come attrezzare finalmente una macchina amministrativa capace di progettare e di eseguire per utilizzare i fondi europei del Piano nazionale di ripresa e di resilienza certo ma anche quelli di coesione e sviluppo e strutturali. Avere a disposizione una montagna di soldi e non saperli spendere sancirebbe una doppia sconfitta della classe dirigente del Paese perché alla bocciatura di risultato si aggiungerebbe quella morale ancora più grave.

Non se ne può proprio più di questo caravanserraglio che ora parla a tempo pieno dello scoglio Quirinale e, superato il quale, si occuperà a tempo pieno di quello delle amministrative che è la premessa dello scoglio delle politiche. È una ruzzola ideologica lontana dalla realtà dei bisogni delle persone che può diventare un rotolare di palle di neve e che, senza barriere immediate, tra un rotolare e l’altro ci metterà magari ancora un po’ ma alla fine diventa valanga che distrugge tutto, Draghi compreso.

Questo è il rischio capitale con cui si misura l’Italia di oggi. I balneari che hanno in gestione gratis le spiagge italiane non sanno nemmeno quanto dovranno pagare da qui a due anni e già protestano con la Lega che ne tira le fila e la conduttrice di turno che è pronta a dichiarare di essere dalla loro parte. Poi ci sono i tassisti, gli ambulanti, i burocrati delle Regioni che non sanno fare un bando ma vogliono i soldi e condannano al fallimento i Comuni che potrebbero fare molto di più ma non hanno soprattutto al Sud le risorse tecniche necessarie. I ministeri sono stati svuotati di competenze negli anni e nessuno se ne è curato, ma oggi si pretende da loro quello che – ovviamente non tutti – non sono in grado di fare.

Siamo al problema dei problemi italiani che è la capacità di spendere. Questo è il tasto che con il suo consueto pragmatismo preme Draghi di sovente. Lo ha fatto anche ieri rievocando l’Ugo La Malfa costruttore della Repubblica e padre del miracolo economico, il valore della programmazione nazionale e della concorrenza, quel coraggio riformista che si nutre di azioni pazienti e si sottrae alla sterilità dello scontro ideologico. Condividiamo tutto.

Ci permettiamo di ricordare di La Malfa la Nota aggiuntiva del ’62 che metteva al centro la industrializzazione del Mezzogiorno e la successiva profetica presa di posizione in Parlamento contro le Regioni che avrebbero moltiplicato il numero dei capi di sezione e dei capi di divisione, avrebbero moltiplicato clientele e corruzione e, soprattutto, avrebbero bloccato la capacità di fare opere nel Paese allargando i divari e le diseguaglianze. Ricordo un incontro con Antonio Maccanico, uomo delle istituzioni di valore di scuola repubblicana, di ritorno dagli Stati Uniti dopo un periodo di studi. Mi dice: dobbiamo combattere la battaglia per l’abolizione del valore legale del titolo di studio, l’esperienza americana mi ha insegnato questo. E aggiunge: ne ho parlato con La Malfa che ha spento subito i miei entusiasmi. Chiedo: come mai? Che cosa ha detto? Ecco la risposta che cito a mente: “caro Tonino non ti preoccupare, le quattro o cinque leggi che hanno rovinato l’Italia le abbiamo già fatte. La prima sono le Regioni”.

Per fare funzionare oggi la macchina degli investimenti e ricostruire una collaborazione responsabile tra i soggetti attuatori centrali, regionali e comunali bisogna partire da qui. Bisogna partire dal coraggio della verità. Il vero problema dell’Italia di oggi non è fare le riforme su quel che non si è fatto fino a oggi, in quei campi cioè dove non abbiamo fatto niente. Il vero problema è smontare un sistema di deviazioni istituzionali e burocratiche e una ragnatela di corporazioni che si è lasciato crescere e ossificare nel tempo. Questo dovrebbe impegnare giorno e notte le forze politiche per regalare al Paese un riformismo concludente e, cioè, paziente ma capace sempre di decidere dentro un quadro condiviso che vale per l’oggi e per il domani. Questo serve per la Nuova Ricostruzione e per riunire le due Italie.


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