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I giudici della Corte Costituzionale

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Bisogna porre fine alla vergogna dei diritti di cittadinanza violati per venti milioni di persone nella sanità, come nella scuola e nei trasporti che questo giornale ha sempre denunciato. Vanno subito definiti i Lep per garantire una equa ed efficiente allocazione delle risorse del Pnrr. L’intervento solenne della Corte Costituzionale mette ora tutti di fronte alle loro responsabilità. O il Parlamento è in grado di definire e votare subito i livelli essenziali di prestazione (Lep) o si affretti a votare un emendamento al decreto del Pnrr che attribuisca pressoché integralmente, non al 40%, le risorse per gli investimenti in sanità prima di tutto, poi anche nell’istruzione e nei trasporti, alle popolazioni delle regioni meridionali

È passato quasi sotto silenzio, ma il comunicato stampa della Corte Costituzionale del 26 novembre ha un titolo che avrebbe dovuto fare saltare sulla sedia tutti i parlamentari della Repubblica italiana, ma che deputati e senatori del Mezzogiorno dovrebbero sventolare giorno e notte in ogni seduta del Parlamento. Ha un titolo inequivoco: “Fondo di solidarietà comunale: non fondate le censure sui tagli, ma lo Stato deve individuare i Livelli essenziali delle prestazioni, specie in vista dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr)”.

Dietro questo comunicato stampa e questo titolo della Corte presieduta da Giancarlo Coraggio, che ha ristabilito la gerarchia tra Stato e Regioni in ambiti controversi e ha denunciato il vizio italiano della frammentazione decisionale, non ci sono ovviamente chiacchiere da bar, ma le motivazioni di una sentenza (n. 220, redattore Angelo Buscema) che riguarda il fondo di solidarietà comunale. Una sentenza che rigetta le richieste della Regione Liguria, per conto del Consiglio delle autonomie locali, su presunti tagli subiti dai Comuni di quella regione.

Per non scambiare il dito con la luna intendiamo occuparci non di questa o quella rivendicazione respinta di questo o quello dei Comuni della Liguria, ma dei diritti di cittadinanza violati di venti milioni di persone che questo giornale ha denunciato dal suo primo giorno di uscita nella sanità e nella scuola come nei trasporti. Decine di miliardi l’anno dovuti alla popolazione meridionale indebitamente sottratti attraverso il marchingegno della spesa storica che opera all’interno di un federalismo fiscale incompiuto in palese violazione dei principi costituzionali.

Siamo di fronte alla vergogna delle vergogne italiane resa pubblica da questo giornale quasi tre anni fa in assoluta solitudine e consacrata proprio in Parlamento nelle conclusioni di una Commissione di indagine presieduta da Carla Ruocco nata a seguito della nostra inchiesta giornalistica. Nella sede più alta della democrazia italiana è stato sancito che esistono cittadini di serie A e cittadini di serie B, ma non succede mai nulla e c’è da chiedersi perché.

Il comunicato della Corte non è un inciso, ma un invito a fare al Parlamento. Un invito a fare presto alla luce della urgente necessità richiamata di procedere ad una equa e efficiente allocazione delle risorse del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr). Considerando che il dialogo tra Corte Costituzionale, legislatore (Parlamento) e governo, è costitutivamente un dialogo costante, perché gli ultimi due sono gli interlocutori naturali della prima, le valutazioni trasmesse sono valutazioni di cui il Parlamento non può non tenere e rendere conto.

Sono motivazioni di una sentenza che si articolano in tre punti chiave che riproduciamo di seguito.
1) Il ritardo nella definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) rappresenta un ostacolo non solo alla piena realizzazione dell’autonomia finanziaria degli enti territoriali ma anche al pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti i diritti sociali.
2) Si valuta negativamente il «perdurante ritardo dello Stato nel definire i LEP, i quali, una volta normativamente identificati, indicano la soglia di spesa costituzionalmente necessaria per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale» e rappresentano dunque «un elemento imprescindibile per uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali».
3) La definizione dei LEP, oltre a «rappresentare un valido strumento per ridurre il contenzioso sulle regolazioni finanziarie fra enti (se non altro, per consentire la dimostrazione della lesività dei tagli subìti), appare particolarmente urgente anche in vista di un’equa ed efficiente allocazione delle ingenti risorse collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)».

Non abbiamo nulla da aggiungere, ma molto da chiedere a chi in Parlamento si sottrae alle sue responsabilità. Per queste evidentissime ragioni abbiamo sostenuto con chiarezza qualche settimana fa che le risorse dell’intero Piano nazionale di ripresa e di resilienza per gli investimenti nella sanità venissero pressoché integralmente assegnate alle regioni meridionali. Perché solo così si poteva pensare di recuperare il danno prodotto dall’abnorme somma di risorse sottratte violando sistematicamente la Costituzione e porre così basi serie per ridurre lo storico divario.

L’intervento solenne della Corte Costituzionale mette ora tutti di fronte alle loro responsabilità. O il Parlamento è in grado di definire e votare subito i livelli essenziali di prestazione, come il governo Draghi primo nella storia della Repubblica ha già fatto per i livelli essenziali di prestazione sociale (Leps) che riguardano asili nido e assistenza agli anziani, o si affretti a votare un emendamento al decreto del Pnrr che attribuisca pressoché integralmente, non al 40%, le risorse per gli investimenti in sanità prima di tutto, poi anche nell’istruzione e nei trasporti, alle popolazioni delle regioni meridionali. Tertium non datur, se si vogliono rispettare almeno le regole della Costituzione e le motivazioni delle sentenze di chi ne tutela i valori fondanti. Per la verità dovrebbero bastare le regole della coscienza per spingere ad agire subito, ma di queste se ne fa strame da sempre. Abbiamo perso la speranza.


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