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Il premier Mario Draghi

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Per la crescita di un Paese contano gli atti reali, ma contano in egual misura se non di più le aspettative. Tanto più chi deve investire si fida di un Paese, tanto più lo fa. Questo è il miracolo economico italiano di oggi che riguarda la produzione, i consumi, il turismo, i servizi, l’edilizia, e la capacità di attrazione dal resto del mondo perché è cambiato il sentiment della finanza globale verso il Paese. Oggi, a differenza del passato, chi fa economia si fida dell’Italia. Questa cosa elementare i partiti frantumati al loro interno, Cinque Stelle, fino alla scissione di Di Maio o solcati da divisioni serie, come la Lega, non vogliono capirla. Lo scontro tutto in chiave elettorale e di personalismi da fibrillazione di notorietà non può passare senza ricadute negative per gli italiani. Perché si rischia di bruciare il capitale di fiducia e di credibilità che si è accumulato in questo anno e passa di governo Draghi. Che ha un misuratore algebrico proprio nell’indice di fiducia di giugno di tutti gli operatori economici italiani che è in netta risalita in controtendenza rispetto alle economie europee più avanzate e nell’indice di fiducia della politica internazionale nei confronti dell’Italia che non è mai stato così elevato. Possiamo mettere in gioco tutto ciò perché si è frantumato il movimento dei Cinque Stelle o perché abbiamo qualche leader sindacale che non ha ancora scelto tra costruire un vero patto sociale o fare il Melenchon italiano mettendo insieme tutta la sinistra populista?

Il problema fondamentale dell’Italia di oggi che tutti sottovalutano è quello dell’immagine. Che vuol dire due parole: fiducia e credibilità. Sono l’altra faccia del miracolo economico italiano di questa stagione. Quella che conta più di tutto e si nutre della convinzione degli investitori globali e interni di un Paese che sta cambiando nei suoi riti bizantini delle mille facce del partito della spesa pubblica e delle corporazioni. Una miscela di rumore politico e mediatico che ha costruito il gigantesco debito pubblico italiano e ha condannato l’Italia a venti anni di crescita zero da fanalino di coda dell’Europa.

Il mondo degli investitori e tutti i soggetti economici del Paese hanno fiducia nel governo di unità nazionale guidato da Draghi e stanno facendo il loro. Se è vero, come è vero, che nel 2021 l’Italia ha avuto una crescita da tassi di miracolo economico (+6,6%) e nel 2022 si avvia a conquistare a metà anno la terza crescita mondiale con un tasso superiore al 3% nel pieno della lunga guerra che rischia di portare l’Europa in recessione. A causa degli shock inflazionistici di materie prime energetiche e alimentari causati dalla strategia economico-militare di Putin che ha invaso con i carri armati lo Stato libero dell’Ucraina e ha terremotato le sicurezze europee aprendo e chiudendo il rubinetto delle forniture di gas e petrolio facendo volare i prezzi.

Per la crescita di un Paese contano gli atti reali, ma contano in egual misura se non di più le aspettative. Tanto più chi deve investire si fida di un Paese, tanto più lo fa. Questo è il miracolo economico italiano di oggi che riguarda la produzione, i consumi, il turismo, i servizi, l’edilizia, e la capacità di attrazione dal resto del mondo perché è cambiato il sentiment della finanza globale verso il Paese. Oggi, a differenza del passato, chi fa economia si fida dell’Italia.

Questa cosa elementare i partiti frantumati al loro interno, Cinque stelle, fino alla scissione di Di Maio o solcati da divisioni serie, come la Lega, non vogliono capirla. Lo scontro tutto in chiave elettorale e di personalismi fuori dalla storia e dalla realtà non può passare senza ricadute negative per gli italiani. Ancora troppi capi partito restano convinti che se non alzano il tono dello scontro, se non fanno rumore, spariscono dal radar degli elettori mentre lo stato confusionale che i loro comportamenti determinano nega il futuro a quegli stessi elettori. Perché si rischia di bruciare il capitale di fiducia e di credibilità che si è accumulato in questo anno e passa di governo Draghi. Che ha un misuratore algebrico ineccepibile proprio nell’indice di fiducia di giugno di tutti gli operatori economici italiani che è in netta risalita in assoluta controtendenza rispetto alle economie europee più avanzate. Che cosa significa tutto ciò? Che abbiamo una crescita doppia di quella tedesca e nettamente migliore di quella americana e francese, ma soprattutto che si ha fiducia di proseguire in questo trend, che tutto si vuole meno che rompere il giocattolo.

Questo pensa chi produce reddito e lavoro. C’è, poi, un altro misuratore algebrico di questo capitale italiano, che oggi è quello più importante ricordiamocelo sempre, che è l’indice di fiducia della politica internazionale. Non è mai stato così elevato e si è tradotto in una leadership di Draghi in sede europea, all’interno dei Sette Grandi, specificamente in America, e financo all’interno della Nato. L’uscita dell’Europa dalle solite ambiguità di politica estera si deve a Draghi che ha convinto Macron e Scholz a dare subito un segnale riconoscendo lo stato di candidato all’ingresso nella Unione Europea dell’Ucraina e ha consegnato alla storia la foto della Nuova Europa con i tre capi dei tre Paesi fondatori (Italia, Francia e Germania) che arrivano a Kiev in treno. La riconoscenza di Zelensky e del popolo ucraino nei confronti del governo italiano è un patrimonio di orgoglio e di civiltà che nei libri di storia nessuno potrà mai togliere agli italiani.

Non c’è azione che l’Europa ha condotto o sta mettendo in atto nella guerra di difesa dell’Occidente contro le autocrazie attuata attraverso le sanzioni economiche, che non sia partita dalla testa di Draghi o di cui lui non abbia fornito un contributo rilevante perché tutti vedono in questa persona, di qua e di là dell’Atlantico, il presidente della Banca centrale europea (BCE) che ha salvato l’euro, che è la moneta degli europei, la moneta di tutti, non degli italiani. Le gaffes a ripetizione di Madame Lagarde che ha preso il suo posto non fa che accrescere la leggenda del salvatore dell’euro perché ne è più facile coglierne le differenze. Questo elevatissimo indice di fiducia internazionale dell’Italia significa banalmente avere prenotato un posto di prima fila nella ricostruzione dell’Ucraina, ma ancora prima avere reso da oggi l’Italia di nuovo attrattiva di capitali e di persone.

Stiamo facendo le riforme di sistema che inseguiamo da vent’anni, si può fare sempre meglio, ma le stiamo facendo. Abbiamo una potenzialità di patrimonio culturale, turistico, industriale, edilizio e, se ben organizzato, di innovazione che può dare frutti di lungo termine di dimensioni inimmaginabili se saremo capaci di ricucire le due Italie con le grandi reti di trasporto ferroviario e digitale e con il ruolo chiave di hub energetico del Mediterraneo, partendo dalla valorizzazione di quello che al Sud già c’è ed è infinitamente più avanti dei Paesi cosiddetti emergenti da cui è in atto dopo pandemia e guerra una colossale fuga di capitali in attesa di nuove destinazioni.

Abbiamo una base di capitale umano in casa e da richiamare da fuori casa che in termini quantitativi e qualitativi può competere con le più grandi potenze mondiali. Possiamo mettere in gioco tutto ciò perché si è frantumato il movimento dei Cinque stelle o perché abbiamo una politica in fibrillazione di notorietà? O perché abbiamo leader sindacali che non hanno ancora scelto tra costruire un vero patto sociale o fare il Melenchon italiano mettendo insieme tutta la sinistra italiana e rispolverando tutto il campionario di populismi e demagogie che ci hanno condannato alle diseguaglianze territoriali di oggi e alla caduta competitiva ventennale dell’Italia?

Se avvertono un minimo di dovere nazionale i partiti, i media e i sindacati del rumore la smettano di suonare le loro trombe che danno fastidio anche ai timpani dei loro elettori e contribuiscano a costruire un nuovo vero patto sociale con i patti fiscali giusti che permettano di disinnescare la mina della tensione sociale autunnale legata alle ricadute di un’inflazione ormai scappata di mano per ragioni essenzialmente belliche di matrice putiniana. Un vero patto sociale è quello in cui si condivide un minimo di giustizia distributiva in cui tutti pagano qualcosa e tutti insieme si salvano. Questo significa fare la Politica con la P maiuscola che salva il Paese e restituisce dignità ai partiti e ai loro capi. Chi pensa, nella politica e nel sindacato, di andare da Draghi e dire “negozia con noi la legge di bilancio e avrai la pace sociale” sbaglia tutto. Perché pensa e opera nel film di prima, non in quello di dopo che ha restituito al Paese fiducia e credibilità. Anche se qualcun altro volesse accontentarli non farebbe altro che accelerare la rovina.


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