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Il porto di Gioia Tauro

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IN OCCASIONE del G7 svoltosi a Carbis Bay, in Cornovaglia, la stampa ha riportato con una frequenza e una sintonia quasi incredibile i seguenti titoli: “Un Piano globale di infrastrutture e sostegno ai diritti umani per contrastare la nuova Via della Seta” oppure “Al G7 Piano Usa anti Cina per le infrastrutture”. E leggendo i vari articoli abbiamo appreso che Biden ha anche lanciato un maxi piano infrastrutturale di migliaia di miliardi destinato ai Paesi in via di sviluppo per fornire un’alternativa all’espansione della Cina e, sempre dalle prime notizie sull’andamento dei lavori, si scopre che il Piano, definito Build Back Better World (ricostruire un mondo migliore) è apprezzato dai Grandi della terra e c’è anche accordo sulla necessità di arginare la Cina; tuttavia l’Europa, Germania in testa, opta per un approccio più moderato.

LA STRANEZZA ATLANTICA

Prende corpo, infatti, una prima considerazione: nella logistica, nella gestione di ciò che chiamiamo supply chain, cioè il controllo dell’intero ciclo delle movimentazioni delle merci, degli scambi e della distribuzione, vince sempre, ripeto sempre, la “lungimiranza di chi interviene per primo” e in questo è davvero strano che l’intera cultura atlantica riunita in Cornovaglia sia rimasta colpita positivamente da una proposta, quella avanzata dal Presidente Biden, che tenta di bloccare l’operazione cinese ricorrendo a una linea strategica analoga.

I PILASTRI CHIAVE  

Ormai la Cina ha disegnato precisi itinerari strategici ed è difficile incrinare, solo a titolo di esempio, i seguenti pilastri chiave.  

  • Un rilancio capillare dell’intero continente africano attraverso la realizzazione di precise infrastrutture essenziali quali: il porto di Mombasa, l’autostrada Mombasa – Lagos, il riassetto dell’economia nigeriana con la realizzazione in tale Paese di grandi impianti logistici come il nuovo aeroporto di Abuja.  
  • La creazione nel Mediterraneo di Hub capaci di garantire la distribuzione efficace ed efficiente di prodotti per un bacino di utenti ricco e in continua crescita; la creazione di Hub che possano interfacciarsi con i più grandi Hub del mondo che vedono i porti della Cina e dell’area asiatica nei primi dieci posti (vedi la tabella pubblicata a destra: è utile ricordare che tutta la portualità italiana movimenta annualmente 10 milioni di Teu).  
  • Creare collegamenti sistematici tra il Mediterraneo e l’area balcanica in modo da rendere possibili interazioni tra il vasto bacino marittimo con le reti stradali e ferroviarie terrestri dell’intero sistema europeo.  
  • Dare sempre maggiore efficacia e sistematicità ai collegamenti terrestri, quale in particolare l’asse ferroviario Pechino-Amburgo-Interporti italiani.

Questi quattro punti non sono un Programma, cioè non sono un impegno a fare, non sono un comunicato stampa da G7, ma azioni compiute o in corso di attuazione. Forse la cultura occidentale, specialmente negli ultimi anni, si è innamorata più della enunciazione di impegni programmatici che della attuazione concreta degli stessi.

I MAGGIORI RISCHI PER I PORTI ITALIANI

Ebbene, l’Italia è forse il Paese che vive in modo davvero preoccupante e in modo scomodo questa contrapposizione perché, mentre può senza dubbio condividere la critica alla Cina sulla assenza di adeguate garanzie sociali, sulla completa sottovalutazione del fattore climatico, non credo possa dimenticare che:

  • Il Commissario Paolo Gentiloni, prima da ministro degli Esteri e poi da presidente del Consiglio dei ministri, in più occasioni formali sottoscrisse la Belt and road (il programma della Via della Seta); un programma anche supportato da precisi impegni finanziari.
  • Il professor Giuseppe Conte, da presidente del Consiglio dei ministri, ebbe modo in un incontro formale a Roma di confermare l’impegno del nostro Paese a dare attuazione a tale Programma.

Non credo si possa accettare che la nostra portualità, mi riferisco ai porti di Genova e di Trieste, sia d’improvviso esautorata da un processo logistico che, in fondo, coinvolge oltre la metà del sistema economico mondiale. Le maggiori negatività, purtroppo, le vivrebbero i nostri quattro Hub transhipment di Cagliari, Gioia Tauro, Taranto e Augusta; una rivisitazione dei rapporti con la Cina vedrebbe automaticamente un sostanziale ripensamento delle più grandi compagnie di spedizioni di container cinesi a utilizzare tali Hub e a scegliere, contestualmente, la massima implementazione di Hub portuali del Mediterraneo come quelli del Pireo, di Valencia, di Algeciras, di Damietta o di Bar e di Durazzo.

Ancora una volta, quindi, il Mezzogiorno rischierebbe di essere privato di un ruolo chiave, ancora una volta il Mezzogiorno perderebbe una innata rendita di posizione.

Per questo motivo, penso, il presidente Draghi, giustamente, ha evitato scelte radicali, ha evitato contrapposizioni alla linea commerciale e logistica della Cina, Questa volta il ritorno alla contrapposizione non metterebbe in crisi la pace, ma metterebbe in crisi la crescita.


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