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Khashoggi

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Dall’Arabia Saudita, dove siamo andati a giocare allegramente e ipocritamente la Supercoppa italiana Juve-Lazio, arriva la notizia di 5 condanne a morte per l’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi tagliato a pezzi nel consolato saudita il 2 ottobre scorso. Assolto Saud al-Qahtani, braccio destro del principe ereditario, Mohammed bin Salman, che secondo l’Onu e la Cia ha diretto tutta l’operazione su ordine del principe. Così potremo tornare a fare affari, vendere armi e celebrare il prossimo G-20 a Riad organizzato con la collusione dell’Occidente, noti think tank e una vagonata di prezzolati per l’occasione.

Si capisce molto bene perché si insiste nel cercare di sviare le indagini sulla morte di Khashoggi: ci pagano per farlo. E questo nonostante le intercettazioni degli americani e dei turchi dimostrino chiaramente che il braccio destro del principe Mohammed abbia diretto tutta l’operazione. In un’intercettazione presa al consolato saudita si dice tra l’altro: “Il lavoro è stato fatto, dillo al tuo capo”. Peccato che l’interlocutore, Saud al Qathani, il braccio destro del principe che fece la supervisione dell’assassinio, sia scomparso pure lui per molti mesi e ricomparso soltanto adesso per essere assolto.

MORTE NEL CONSOLATO

Ricordiamo i fatti. Il 2 ottobre 2018 Jamal Khashoggi, giornalista molto critico nei confronti di Riad, entrò al consolato di Istanbul per ottenere un documento per sposare la fidanzata Hatice Cengiz e non ne uscì vivo. Quel 2 ottobre Cengiz aspettò per tre ore davanti al consolato con il cellulare del fidanzato in mano, mentre all’interno lui veniva soffocato e fatto a pezzi. Il cadavere non è mai stato ritrovato. Nel processo Riad ha condannato a morte cinque persone tra queste Maher Abdulaziz Mutreb, una delle guardie del corpo del principe ereditario, e il dottor Salah al-Tubaigy, a capo dell’unità forense che ha fatto a pezzi il corpo del reporter.

Il rapporto della Commissione Onu per i diritti dell’uomo ha lanciato sospetti pesanti sui vertici del Regno e ha sollecitato ulteriori indagini sul principe Mohammed bin Salman. Il dossier di 101 pagine contiene dettagli raccapriccianti, a cominciare dalle ormai famose registrazioni audio dei servizi segreti turchi.
Già 13 minuti prima che Khashoggi faccia il suo ingresso nella sede diplomatica due agenti sauditi, compreso il medico di medicina legale, Salah Tubaigy, discutono su come smembrare il cadavere. L’intenzione è infilarlo in sacchi di plastica. Si riferiscono a Khashoggi come all’”animale sacrificale”. Tubaigy lascia anche trasparire preoccupazioni sulle possibili conseguenze.

Nel documento Onu si ricostruiscono i movimenti del team di 15 persone inviato a bordo di due aerei e diretto da un uomo di fiducia di Mohammed, Ahmed Asiri. Secondo l’Onu è impossibile che i funzionari abbiano agito in autonomia. Una valutazione coincidente con quella della Cia. Gli analisti di Langley hanno sempre sostenuto che la fine di Khashoggi era parte di un’azione più ampia per mettere a tacere le voci contrarie alla monarchia e con buoni agganci in Occidente, Usa compresi. La Commissione aveva espresso critiche severe nei confronti del procedimento giudiziario avviato dall’Arabia Saudita nei confronti di 11 persone. Un’azione ritenuta troppo timida e mirata a scaricare su pochi le responsabilità di altri. Esattamente come è avvenuto.

IL GIOIELLO ARAMCO

Ma noi qui in Occidente non ci lasciamo scoraggiare neppure dai delitti più efferati del Regno saudita perché Riad è il maggiore cliente di armamenti dell’Occidente, ci sponsorizza e ora sta pure quotando nelle Borse internazionali il gioiello petrolifero Aramco. Se americani, francesi e inglesi sono i maggiori sostenitori della monarchia, noi italiani, che gli abbiamo anche venduto le bombe per la guerra in Yemen, non ci tiriamo indietro.
Quindi ci siamo inventati questa baggianata della Supercoppa a Riad in cambio di 21 milioni di euro per tre partite (neppure tanto): si tratta di un’attività benemerita denominata da Amnesty International “sportwashing” praticata dalle monarchie del Golfo persico e anche da paesi esterni all’area come l’Azerbaigian.

IMMAGINE FALSA

In poche parole si sfrutta lo sport per rendere moderna la propria immagine e far distogliere lo sguardo dalla pessima situazione dei diritti umani. E così monarchie assolute come Emirati, Barhein, Qatar, organizzano gare di Formula 1, motociclismo, tornei di tennis, fino ai mondiali di calcio di Doha del 2022.

Un fiume di denaro inonda i campioni dello sport che gareggiano anche per rendere omaggio ai loro sponsor che si fanno fotografare mentre li premiano. Il giornalismo sportivo contribuisce facendo la sua parte: “perché questo è sport non politica”. Dai, tutti insieme, che lo sport unisce e lava più bianco del bianco.


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