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Tutto cambia, anche la Cina. Persino la censura si arrende e deve dare via libera alla protesta sul web. La morte del dottor Li Wenliang, contagiato dal coronavirus, ha innescato in Cina una sorta di rivolta online popolare e trasversale. Da un paio di giorni circolano centinaia di migliaia di post sulla rete di gente che protesta e si indigna per la sorte del medico che aveva tentato di lanciare l’allarme sul virus ed era stato silenziato dalla polizia.

MESSAGGI

A inviare messaggi è gente di ogni tipo: ci sono manager, funzionari governativi e tantissima gente comune. Pesanti le critiche al governo di Pechino che, come è noto, di solito concede ben poco spazio, se non nessuno, al dissenso.

Li Wenliang, un oculista di 34 anni impiegato presso uno degli ospedali di Wuhan, l’epicentro della crisi, si era accorto lo scorso dicembre delle anomalie in alcuni pazienti affetti da polmoniti gravi, le cui cause erano ignote. Valutando i sintomi _ e confrontandoli con quelli di altre sindromi respiratorie gravi come la Sars _ipotizzò che la causa delle polmoniti potesse essere un nuovo coronavirus. Il medico aveva comunicato le sue ipotesi in una chat di gruppo con altre persone, attirando l’attenzione della polizia locale, che lo aveva accusato di diffondere notizie false e allarmistiche. Poche settimane dopo ci sarebbe stata la conferma circa la presenza di un nuovo coronavirus, alla base delle polmoniti gravi a Wuhan e di diversi decessi.

ACCUSE FALSE

Dopo essere stato falsamente accusato, e poi scagionato, Lì era tornato a lavorare. Qualche giorno dopo avere visitato una paziente, poi risultata positiva al nuovo coronavirus, aveva cominciatoa sviluppare alcuni sintomi e a soffrire di una grave infiammazione delle vie respiratorie. Gli fu confermato il contagio da coronavirus e prima di morire il medico aveva raccontato la sua storia sui social network cinesi.

“Questo è un momento eccezionale per la nostra coscienza collettiva”, dice un post. E lo deve essere sicuramente in un sistema dove 1,4 miliardi persone sono attentamente sorvegliate dal Partito comunista che anche negli anni recenti ha messo la museruola persino alla sua classe dirigente ogni qual volta si intravedevano sintomi di dissenso e di opposizione. Questa volta le critiche al governo sono forti, diffuse, feroci, cosa mai accaduta in un Paese dove la censura e l’autocensura lavorano alacremente.

Il regime cinese si era preparato alla critiche ma non è bastato. La macchina di propaganda del Partito comunista di Pechino è entrata subito in funzione a pieno ritmo cercando di mettere sotto contro i messaggi sul web. Ma a quanto pare è stata assai meno efficiente che in passato.

La morte del dottor Li ha creato un’ondata emotiva che Pechino non è ancora riuscita a mettere sotto controllo. Si è diffusa alla velocità del fulmine una sorta di sorta di epidemia di critiche al governo come non si era mai vista. I cinesi si sono infuriati per come è stata gestita la situazione. Quanto durerà questa rabbia è difficile prevederlo ed è ancora più complicato individuare le conseguenze.

NUOVA TATTICA

Adesso però le autorità cinesi hanno cambiato tattica. Non censurano le critiche ma cercano di cavalcarle, di tenerle sotto controllo. Ma in futuro potrebbe accadere che dovremo ricordare il nome del dottor Li Wenliang non soltanto per essere stato una vittima ma anche qualche cosa di ancora più significativo per l’opinione pubblica cinese.


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