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Ursula von der Leyen

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«Cerchiamo di non fare una figuraccia a livello mondiale e troviamo un serio accordo per salvare la nostra economia». È questo il messaggio che da Bruxelles sta viaggiando verso le capitali dei Ventisette, i cui capi di governo oggi pomeriggio si riuniranno in teleconferenza per un difficile Consiglio europeo. L’aggettivo più usato è “urgente”, un po’ come in Italia a dire il vero, accompagnato dal sostantivo “fiducia”.

Non sarà però un vertice risolutivo, anche se potrebbe essere un passo avanti decisivo, perché molte cose devono ancora essere definite, e per esserlo, sostengono qualificate fonti dell’Unione europea, «ci sarà bisogno di un contatto fisico tra i leader, certe cose non si possono fare in videoconferenza».

IL NUOVO STRUMENTO

Però qualcosa è successo, dei passi avanti sono stati fatti. Dopo qualche mese di epidemia da Coronavirus il petrolio non si compra più, ma si viene pagati, e anche bene, per prendersene qualche barile; nei Paesi Bassi i fondi pensione, uno dei maggiori asset del Paese, hanno perso quasi 80 miliardi nel primo trimestre; la Germania si è resa conto che senza le componenti, come ad esempio freni, parti meccaniche, motori elettrici, appaltati a centinaia di società italiane, la sua potente industria automobilistica non può ripartire.

E dunque dopo settimane di scontri durissimi le cose sembrano prendere un verso più amichevole. Italia, Spagna e Francia cominciano a essere ascoltate. Improvvisamente la cancelliera Angela Merkel può «immaginare» che si mettano più soldi in campo per fronteggiare la crisi economica, che forse si potrà anche parlare di bond europei.
Ed ecco, allora, che i quattro pilastri dell’azione europea cominciano a marciare insieme: non più solo l’intervento della Banca europea per gli investimenti (250 miliardi di euro) più il Mes volontario senza condizioni per le spese sanitarie (altri 200 almeno) più il fondo per la cassa integrazione Sure (100 miliardi), ma anche un Recovery Fund, che è entrato a pieno titolo nel dibattito tra i leader. Va ancora ben definito, la tempistica sarà diversa da quella dei primi tre interventi, ma si tratta di una massa da 1.000-1.500 miliardi che, attraverso obbligazioni emesse dalla Commissione europea, potrà dare un decisivo impulso all’economia del Continente.

Non sono i Coronabond, e nemmeno i recovery bond. La parola “bond” deve apparire il meno possibile, urta le sensibilità di troppi, meglio non collegare in alcun modo debito europeo e Stati. Giuseppe Conte ci ha messo un po’ per metterlo a fuoco, ma le cose, alla fine, stanno andando in una direzione che all’Italia potrebbe piacere.

NON CI SONO PIÙ TABÙ

Lo sblocco della discussione è arrivato quando si è immaginato che una maniera per trovare soldi sul mercato potrebbe essere (nulla si può dare per scontato) che questo Fondo per la ripresa sia collocato accanto, ma “incardinato” al Bilancio settennale 2021-2027 dell’Unione, in discussione da mesi, portando la massa disponibile dai poco più di 1.000 miliardi del Qfp che era naufragato nello scorso mese di dicembre, in sostanza ad almeno 2.000 (vicina al 2 per cento del reddito lordo europeo), attraverso una garanzia iniziale degli Stati che dovrebbe collocarsi tra i 200 e i 300 miliardi, per dare il via all’operazione prima che entri in vigore il prossimo Mff, il primo gennaio prossimo.

Quello che chiedono i nordici è che il capitale destinato alla spesa “ordinaria” resti nell’ordine di grandezza che era in discussione prima della crisi, attorno ai 1.000 miliardi, meno dell’uno per cento della Ricchezza nazionale lorda europea.

Da una parte, dunque, il riconoscimento dello stato delle cose da parte dei Paesi “frugali”, che hanno realizzato di non vivere in una “bolla autarchica”, e dall’altra le pressioni alle volte strategiche, altre confuse, di Paesi come Francia, Italia, Spagna, Belgio e un’altra decina di governi, hanno portato sul tavolo che si aprirà al Consiglio europeo di oggi un pacchetto completo e ricco. Che non sarà confezionato lì per lì, ci vorranno ancora alcune settimane, ma che potrebbe partire tutto, magari un pezzo per volta, già entro i prossimi mesi.

«Bisogna fare in fretta», ripetono a Bruxelles e bisogna anche che si stabilisca «una fiducia tra gli Stati che nessuno vuol prendere i soldi e scappare, nessuno vuole arricchirsi alle spalle degli altri, nessuno dovrà pagare per i debiti degli altri», spiega un alto funzionario dell’Unione.

Se i primi tre strumenti (Sure, Mef e Bei) dovrebbero addirittura poter partire prima della fine di giugno, per il Recovery Fund sarà necessario definire degli strumenti tecnici, delle tempistiche, dei settori coperti, ma non si parla più del “cosa”, ma del “come”. «Non ci sono più tabù», dice una fonte diplomatica.

DIBATTITO APERTO

Il primo tema è la tempistica. Il secondo è quello delle condizioni del funzionamento e del ricorso ai fondi. Ma va anche definito se una parte, e che parte, di questi 1.000 o più miliardi potranno essere contributi a fondo perduto per progetti che nascono dall’emergenza Coronavirus, ma che si possono inserire nel solco di altri programmi normalmente finanziati dalla Commissione con il bilancio pluriennale. La Spagna vorrebbe che questi contributi fossero la totalità dell’intervento, ma è impossibile che la richiesta possa passare. Il dibattito, difficile, comunque è aperto, e si giocherà nel bilanciamento tra Recovery Fund e Quadro finanziario pluriennale (Qfp). Così aperto che il Consiglio europeo di oggi dovrebbe solo “consolidarlo”, ma non ci sarà un mandato formale ai ministri perché mettano in piedi il sistema. Non ci saranno conclusioni scritte, ma solo una dichiarazione del presidente del Consiglio Charles Michel, che indicherà da dove si riparte e dove si vuole arrivare, dando mandato alla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, di scrivere una proposta, il che avverrà, come lei ha già annunciato il 29 aprile. Poi la parola, giovedì prossimo, tornerà all’Eurogruppo, per arrivare, sperano i più ottimisti, a definire il tutto entro giugno.


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